SERIE A, 32^ GIORNATA
Alla 32a di Serie A la squadra schiacciasassi è tornata. In un San Siro illuminato da 60000 spettatori, i giustizieri della Gobba sono tornati in campo per far capire che, comunque finisca il campionato, la Beneamata è la più forte. Anche non girando alla massima velocità non c’è stato Verona che potesse tenere. La differenza è parsa subito immensa. Al primo minuto Dimarco aveva già percorso tutto il campo in piena libertà e solo il fato non ha permesso l’immediato vantaggio. Squadra perfetta nel primo tempo: Perisic, Dzeko e Brozovic immensi e due reti di vantaggio con pieno merito. A metà gara il costo del biglietto era già completamente ammortizzato. Tutto ciò di fronte ad una Hellas ben messa in campo, con Simeone in grande spolvero che solo una incommensurabile difesa come quella nerazzurra ha saputo limitare. Nella ripresa la lotta è stata meno impari anche se i bauscia hanno creato diverse occasioni da rete annullate da un eccellente Montipò. Per il resto l’Inter ha lasciato che i veneti facessero possesso palla limitandosi a controllare la partita. Si prepara un fine campionato di Serie A per uomini duri e forti di cuore, scorreranno fiumi di adrenalina.
Dybala non ha mezze misure: o è il migliore in campo o fa giocare la Juve in dieci. Contro il Cagliari è partito con la seconda decisione. Per documentarla ha perso una palla a centrocampo lanciando il contropiede isolano. Due passaggi e rete di Joao Pedro. I rossoblu giocano con il 3-5-2 come da prassi mazzariana, i bianconeri con il 4-4-2 che prevede Cuadrado molto avanzato. Buono l’apporto di Zakaria al centrocampo, ma con compagni come Arthur e Rabiot è dura. È apparso subito evidente che solo una invenzione di Cuadrado avrebbe potuto scaldare la Juve. Infatti così avviene al termine del primo tempo quando il colombiano, vinti un paio di dribbling, appoggia la palla sul testone di De Ligt che è costretto a spingerla in rete. Tutto fila liscio nella ripresa, che tanta sofferenza ha procurato ai torinesi, fino a che Dybala con un filtrante ha permesso a Vlahovic, fino a quel momento annullato da Lovato, di buttare in rete la palla della vittoria. La Juve non cambia mai, sembra morta ma è solo apparenza, finché la matematica non la condannerà per lo scudetto ci sarà anche lei. Frase ovvia ma puntualizzatrice.
Ovvia come l’incapacità del mondo occidentale, in particolare il nostro continente, di prendere decisioni univoche per contrastare il proseguimento dell’invasione russa in Ucraina. Mi pare che partiti da “tutti Ucraini” alle prime difficoltà… Che abbiano ragione gli asiatici a pensarci come il ventre molle del mondo? Forse sì: abbiamo raggiunto una situazione di agiatezza che pensare a sacrifici ci fa inorridire, speriamo sempre che altri ci risolvano i problemi. Si sta avvicinando il momento di inchinarci ad un nuovo imperatore come successe all’impero romano? Se il calcio, come realmente è, rappresenta lo specchio della nostra società la situazione è grave. Nonostante molti non se ne rendano conto, i sacrifici per emergere come calciatori sono pesanti.
I calciatori italiani forti nascevano come funghi finché esisteva un Paese o zone del Paese povere e predisposte a sacrifici pesanti. Leggete i nomi dei nostri campioni. Negli anni Cinquanta nascevano in tutta Italia, dal sessanta nel triveneto, poi è arrivato il periodo dei meridionali e ora? Se si vuole lo spettacolo dobbiamo importare gli stranieri, giovani che talvolta sono arrivati da immigrati attraversando deserto e mare. Poi, quando è chiamata alle armi, la nostra Nazionale svanisce, si arrende. Non è un buon segnale, speriamo sia una mia visione strabica.
Sicuramente strabica è stata la visione genoana della partita contro la Lazio. Con un occhio guardava la classifica di Serie A, con l’altro come mettere in difficoltà i romani. Quello sulla classifica è rimasto inchiodato, quello sui biancazzurri non ha per niente mostrato di servire. Quattro pappine nel sacco e penultimo posto in classifica. La Lazio prosegue invece la corsa all’Europa. Quando ad allenare c’è il mago di Certaldo e la squadra rischia di vincere un titolo, scatta la maledizione degli dei del calcio: ”se allena Spalletti, la sconfitta te l’aspetti, non puoi vincere scudetti”. È successo con la Maggica, con l’Inter e ora con il Napoli. Dopo la vittoria a Bergamo, i partenopei erano divenuti la squadra più accreditata per lo scudetto, gli incontri “meno facili” li avevano al Maradona.
In questa giornata di Serie A era di scena la Fiorentina. Bene, la Viola ha subito preso il dominio del centrocampo, presentato in attacco Cabral che non ha fatto per niente rimpiangere Vlahovic, anzi, e giocato con la giusta grinta di chi sa di essere inferiore. Non c’è stato un momento in cui si è pensato che gli azzurri avrebbero preso il sopravvento, forse nessuno immaginava che i toscani potessero vincere ma il pareggio, si è capito, lo avrebbero portato a casa. I gigliati impostavano dal basso senza alcun timore del pressing napoletano e, come usano le squadre di Italiano, ripartivano a doppia velocità. Il Napoli non trovava possibilità di giocare in profondità, i suoi attaccanti aspettavano sempre di avere passaggi fra i piedi. Dopo la prima rete fiorentina, il pareggio di Mertens ha illuso i tifosi dei ciucci. Ma la speranza è durata poco, la Viola ha piazzato due colpi bellissimi che hanno portato alla sconfitta napoletana. D’altra parte il Napoli continuava ad attaccare ad minchiam e la Fiorentina, giustamente, lo puniva. A nulla è valsa la seconda rete ed il forcing finale, oramai i buoi erano fuggiti dalla stalla napoletana.
È evidente che l’Atalanta giochi in campionato solo perché allenarsi per l’Europa League, fa bene! Col Sassuolo non ha fatto nulla per stare in partita. Grande paura per i tifosi della Maggica. La Salernitana è arrivata a Roma decisa a fare la partita dell’anno. Chiusa in difesa e veloci contropiede, nessuna remora a buttare il pallone in tribuna. Passati in vantaggio i granata hanno accentuato la difesa sperando che, quando lo sparacchiavano via, il pallone arrivasse a Ribery, unico loro giocatore capace di tenere la palla in avanti. Ad inizio ripresa Mou ha tolto un difensore e inserito Zaniolo. Giallorossi votati all’attacco. Per la testa mi è passato un incontro Roma vs Lecce di molti anni fa, 1986. Il Lecce era già retrocesso e la Roma stava per soffiare lo scudetto alla Juve. Rete di Graziani per i giallorossi, la partita pareva finita. Tutt’altro, tre reti dei pugliesi e scudetto ai bianconeri. Va a da via i ciapp! Stavolta è andata meglio: Pérez, negli ultimi minuti, ha battuto Sepe. I capitolini si sono scatenati e buttate in campo tutte le forze possibili. La Salernitana non ne aveva proprio più e Smalling ha potuto portare la squadra alla giusta vittoria.
Il Milan si è recato a Torino per la prima di un filotto di sette gare che, se vinte come si sentivano sicuri i casciavit doc, avrebbero
portato i rossoneri al diciannovesimo scudetto. Naturalmente bisognerebbe tener conto che i primi tre sono stati vinti durante la coabitazione con l’Inter. Per l’occasione Pioli ha disposto la squadra con il solito 4-2-3-1 . Il Torino ha contrapposto un 3-4-2-1 mirando ad esaltare i numeri di Belotti. Kessie e Tonali i centrocampisti del Milan con maggiore licenza da incursore all’ivoriano. Le squadre hanno corso, difeso bene, curato le ripartenze ma non hanno tirato in porta. Le difese sono parse nettamente più in palla degli attacchi. Nel primo tempo le squadre di sono equivalse e il risultato, reti inviolate, inevitabile. Nella ripresa i rossoneri hanno buttato in campo tutta la disperazione di chi vede allontanarsi un traguardo che pareva raggiunto. Sarebbe stata necessaria una prodezza da una delle parti per vincere. Ma il campione non c’era e le squadre un po’ stanche. Finisce 0-0 il Milan rimane primo in classifica ma in modo …precario, l’Inter è a due punti ma con una gara in meno. Stiamo a vedere.