L’articolo di Massimo Ferlini pubblicato su questo quotidiano il 6 marzo offre un’analisi lucida e articolata del contesto e delle dinamiche del mercato del lavoro. Il tema della cosiddetta “settimana corta” è occasione per riflettere del lavoro e della sua concezione e percezione ai giorni d’oggi. Per quanto attiene al merito della questione, ovvero lavorare quattro giorni alla settimana, deve tenere in considerazione alcuni aspetti ineludibili.
Innanzitutto c’è il tema “a che prezzo”, cioè con cosa “scambio” un giorno in meno di lavoro: premesso che per la stragrande maggioranza dei lavoratori la minore prestazione dovrà essere a parità di retribuzione di base – essendo queste ultime già tra le più basse d’Europa – bisogna provare a incidere su altri fattori. La Cisl ha, per esempio, posto come centrale il recupero di produttività. La riduzione della quantità lavorativa deve comportare necessariamente un incremento delle produttività per essere appetibile per le imprese.
Già oggi gli incrementi di produttività possono essere riconosciuti economicamente ai lavoratori attraverso la contrattazione aziendale, laddove viene riconosciuta ed esercitata. Nell’ultimo periodo molte somme elargite come premi di risultato (o di produzione) vengono “welfarizzate”, ovvero da un riconoscimento meramente monetario si passa alla loro erogazione mediante prestazioni o servizi: pertanto un prossimo passo potrà essere quello di una nuova “traduzione” del valore del premio in “tempo”, ovvero maggior tempo a disposizione dei lavoratori, riducendo il periodo di lavoro.
Questa impostazione presuppone una considerazione non secondaria: solo i lavoratori dipendenti di quelle aziende dove si negoziano i contratti integrativi possono essere interessati a questa declinazione, pertanto, pur essendosi sviluppata la contrattazione di secondo livello nelle aziende, restano maggioritarie le imprese dove questo diritto non viene riconosciuto, oltre alla definizione di importi comunque generalmente modesti. Inoltre, molti lavoratori sono esclusi in quanto impiegati in attività lavorative altamente frammentate e parcellizzate. Ad esempio, nei servizi di assistenza e cura della persona, serve assistenza 24 ore su 24: la riduzione del numero di ore per lavoratore, non può che comportare un aumento del numero di dipendenti, rendendo così complicato ridurre di un giorno la settimana lavorativa a parità di retribuzione.
Non potendo quindi generalizzare e omologare l’ambito e le modalità di applicazione, giusto sarebbe procedere con una campagna di sperimentazione, provando a negoziare a livello aziendale questa nuova modalità organizzativa di collocazione delle prestazioni di lavoro con orari inferiori ai classici modelli contrattuali.
Intravediamo un ulteriore elemento di riflessione su come cambia la concezione del lavoro, del “vivere per lavorare o lavorare per vivere”, di che ruolo ha il lavoro nelle nostre vite, se come semplice forma di sostentamento o lambisce anche altre dimensioni dell’essere umano. Anche qui non è opportuno generalizzare, perché è sicuramente più difficile e meno immediato vedere nel lavoro più faticoso, mal retribuito e non gratificato, svolto in condizioni spesso insalubri, qualcosa che vada oltre il mero scambio tra prestazione e denaro. Tuttavia, è ineludibile che il lavoro abbia perso la sua dimensione centrale e prioritaria all’interno della società. Oggi non si cambia domicilio per seguire un lavoro, ma si cambia lavoro in base a dove ciascuno sceglie di vivere; oggi il “quando” lavorare assume forse più importanza del “come” lavorare, partendo dal presupposto che non ci sarà più un periodo socialmente identificato di lavoro e di non lavoro: sempre più persone lavoreranno mentre altre si godranno il loro tempo libero o viceversa; un tempo emanciparsi significava svincolarsi da una determinata condizione familiare e il lavoro ne era lo strumento principale, oggi invece la tentazione è quella di svincolarsi dal lavoro stesso. Infatti, quest’ultima considerazione appare come esito scontato se i giovani di oggi hanno la possibilità di ricevere un reddito senza lavorare, e dall’altra sono messi nell’angolo di un lavoro che non offre un sostentamento economico sufficiente per uscire da una condizione di povertà.
Occorre sottolineare altresì come le distinzioni classiche di lavoro subordinato e lavoro autonomo stanno lentamente venendo meno, nei fatti contaminandosi reciprocamente: il lavoro dipendente cerca spazi di maggiore autonomia, in particolare nel definire quando, dove e come svolgere la prestazione lavorativa; mentre il lavoro autonomo richiede ora, dopo troppo tempo perso, analoghe tutele sociali e previdenziali attribuite esclusivamente al lavoro subordinato.
È opportuno pertanto provare a collocare questa questione della settimana lavorativa spalmata su quattro giorni all’interno di un quadro articolato e complesso di riflessione sul tema del lavoro, sia in termini di “sfida” contrattuale, ovvero com’è realmente possibile introdurre questa importante innovazione, tenendo conto del contesto produttivo e organizzativo, senza però eludere la domanda di cosa oggi rappresenta il lavoro per la vita delle persone e per la loro realizzazione umana.
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