Nel capitolo XXXV dei Promessi sposi Fra Cristoforo, nel lazzaretto di Milano, porta Renzo, esasperato dall’incertezza della sua situazione, da don Rodrigo ormai agonizzante.

Potremmo immaginare il lazzaretto di Milano come un grande quartiere in isolamento o un come un ospedale per feriti di guerra o, ancora, come un moderno reparto di cure palliative o per stati vegetativi oppure per malati psichiatrici severi.



Nel dialogo che si dipana esce uno spaccato degli atteggiamenti ultimamente possibili in ogni tempo davanti ad una simile situazione.

“Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d’una vita tenace…



“Tu vedi!” disse il frate, con voce bassa e grave. “Può esser gastigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che t’ha offeso, sì: lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto…. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te…; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato…” (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo 35).

Qualche tempo addietro abbiamo dedicato un anno di formazione per il personale implicato nelle cure di pazienti gravi a questa alternativa che, con linguaggio diverso, avevamo titolato: “Il lavoro di cura: Una sfiga o una sfida?”.



Il dolore e la fatica sono parte incancellabile della vita, anche se ciò è umanamente incomprensibile; nulla va tralasciato per ridurli e vincerli, ma nulla va fatto per censurarli o fuggirli, pena il loro moltiplicarsi e acuirsi.

“Se non riesce a guarirmi, mi dica almeno perché soffro” mi son sentito crudamente chiedere da uno di questi pazienti.

La malattia e il dolore trovano un ultimo e radicale sollievo nell’accompagnamento e nella condivisione umana, capace di tutta la professionalità possibile: “Sono io che devo ringraziare Voi, quando siete qui non mi sembra nemmeno di essere ammalata” – dice Giovanna con il lettore ottico al cappellano dal letto della casa di Bresso dove vive da anni per una Sla.

Cristo in Croce è la compagnia più incredibile ed efficace per chi soffre, fonte di un incomprensibile sollievo che promette resurrezione.

La vita chiede un’ultima condizione perché si compia: che la tua libertà non fugga, ma domandi, aderendo a quel Mistero che si fa compagno, specialmente in circostanze indesiderate.

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