Credo sia doveroso, dopo aver onorato silenziosamente per settimane le restrizioni decretate dal Governo per motivi di ordine sanitario, esprimere all’inizio di questa settimana – chiamata “Santa” – il sommesso dolore dei cristiani. Non perché si vogliano intraprendere battaglie di ordine ideologico, e neppure per invocare un’immediata ripresa delle celebrazioni liturgiche con concorso di popolo, ma per esprimere qualcosa che c’è e che attraversa il cuore di molta parte delle persone che oggi restano nelle loro case e che – per rispetto della tragedia in corso – non parlano e non manifestano.



Esiste un dolore in questo paese, legato all’assenza delle celebrazioni liturgiche, che merita di essere considerato. La dimensione religiosa, infatti, non è un accessorio, ma una delle più alte manifestazioni della specie umana: essa ha il compito di accompagnare e dare senso in alcuni dei momenti più decisivi dell’esistenza. In queste settimane al popolo cristiano è stata portata via la possibilità di radunarsi, di celebrare e di fare esperienze simboliche fondamentali.



L’esempio più evidente è quello legato al lutto: impedire i funerali, in tutta la loro portata culturale, ha aggiunto al trauma della perdita, e al trauma di non poter essere presenti al momento della perdita, anche il trauma del mancato saluto, di un congedo mancato. È chiaro che non era possibile attrezzarsi molto diversamente e che l’assoluta novità del virus che ci troviamo a combattere ha imposto scelte assolutamente nuove per poterlo fronteggiare.

Eppure oggi, nei giorni in cui le palme riempivano le case come segno di benedizione, nei giorni in cui si partecipava alla lavanda dei piedi per immedesimarsi nella grandezza di un amore povero, nei giorni in cui fisicamente si ripercorreva il cammino della croce come monito ad amare accettando l’esperienza del sacrificio, nei giorni in cui si attendeva che da quel corpo deposto nel sepolcro arrivasse l’inatteso annuncio di una novità, oggi si avverte tutto il rumore di un’assenza che è per tanti sofferenza, privazione, rinuncia.



Dire questo non significa incitare alla ribellione, tutt’altro, o non accogliere quanto è stato richiesto, ma significa ridare spazio – e con esso dignità – anche al disagio di molti che si sentono ancora più spiazzati e sorpresi nel dover accettare di non celebrare neppure la Pasqua secondo i canoni della Tradizione.

A costoro, tuttavia, va detto che il Mistero celebrato in quei riti non smette di accadere: è Giovedì Santo in questi giorni per ogni medico o infermiere chiamato a lavare i piedi di pazienti dilaniati dalla forza di un virus aggressivo e cattivo; è Venerdì Santo in ogni famiglia in cui si piange l’ingiusta condanna a morte di un parente lontano dalla propria casa e dal proprio letto; è Sabato Santo in ogni città mestamente silenziosa e tentata dalla forza della disperazione; è Domenica di Resurrezione in ogni luogo dove si piange la contentezza di un dono ricevuto o di una Grazia insperata.

La Pasqua, il passaggio dalla morte alla vita, è la promessa della fede che in questo momento può far guardare alla grave crisi economica che incombe come ad un momento non di abbandono o di perdita, ma di nuova consapevolezza e di curiosità per ciò che non è conosciuto ed è Mistero buono, non oscuro futuro. Se la nudità di questi giorni provoca enorme dolore in ognuno, e questo dolore merita di essere detto e raccontato, quella stessa nudità aiuta i credenti a purificarsi e a ritornare poveri, celebrando l’evento che nella Pasqua accade, la vittoria di un Altro dentro ogni morte e ogni virus, dentro ogni ingiustizia e ogni distacco.

A ciascuno la libertà di vivere questi giorni nella rabbia, nel disappunto e nella dimenticanza oppure di aderire alla grande provocazione e alla grande sfida che questi stessi giorni rappresentano. Certi di non essere stati dimenticati, ma di essere in cammino verso un sepolcro che, tra le lacrime, potremmo invece scoprire semplicemente vuoto, semplicemente pronto ad annunciarci che c’è Uno che fa nuove tutte le cose e che, con la Sua forza, ci porta a celebrare la festa fuori dal Tempio. In ogni volto e in ogni tempo.

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