Urne aperte, oggi, per 47,7 milioni di francesi. Le elezioni regionali e dipartimentali sono il primo test elettorale importante da un anno a questa parte, e nello stesso tempo saggiano il terreno in vista delle attesissime presidenziali 2022, nelle quali Emmanuel Macron si giocherà la rielezione all’Eliseo. “Il presidente prova a ricucire lo strappo con la cosiddetta Francia rurale, a scrollarsi di dosso l’etichetta di presidente dei ricchi” dice Francesco De Remigis, inviato in Francia de Il Giornale, che in questa intervista ci offre uno spaccato del paese nel giorno di questo appuntamento.
Occhi puntati sui risultati del Rassemblement National di Marine Le Pen. Macron aspetterà i risultati per enfatizzare il responso delle urne o, più probabile, per sottolinearne la portata locale. “La sfida locale si gioca più tra la destra gollista e quella lepenista, che non tra il Rassemblement National e En Marche, senza personalità e peso specifico” spiega l’inviato. Se Le Pen vincerà anche solo una o due regioni importanti, “sarà un terremoto”. Sia in vista del secondo turno, sia in prospettiva 2022.
Macron ha annunciato la fine dell’uso della mascherina all’aperto e del coprifuoco, 10 giorni prima della data prevista. Una mossa elettorale che sposterà consensi?
I giovani avevano una sola data in agenda, quella della riapertura dei locali e delle discoteche, che sembra slittata al 2 luglio tra mille incognite. La Francia ha chiuso molto più dell’Italia, sul piano della ristorazione e dello svago; aver dato un segnale di fiducia, con la fine delle mascherine all’aperto avrà certamente un peso. Però è sempre un’elezione locale, dove si votano candidati singoli, di partito e non.
Il 60% dei francesi ha detto che oggi non andrà a votare. Questa stanchezza nei confronti dei politici è legata solo alla crisi sanitaria?
Diciamo anzitutto che la Francia è andata al voto anche l’anno scorso, a pandemia in corso. Flessioni nella partecipazione ce ne sono state, ma le urne si sono riempite, dando indicazioni utili – per esempio sulla crescita dei verdi, che in questa tornata sono meno presenti. Non parlerei di stanchezza nei confronti dei politici, ma di disaffezione di fronte a promesse vaghe o non mantenute. Progetti chiari e decisi, pochi. Persone in campo, tante. Forse anche troppe o troppo concentrate su se stesse e sul proprio futuro politico.
Qual è l’elettorato che En Marche vuole conquistare per queste elezioni?
Più che En Marche, è Macron in persona che si sta spendendo per guadagnare consensi. Il suo partito, sul piano locale, ha perso adesioni, manca di personalità, e non ha un peso specifico dato dal radicamento, tanto che in molti casi poggia su un’alleanza con i gollisti. Dunque è il presidente della Repubblica che si muove. Sia con un “Tour de France”, definito un “pellegrinaggio laico”, sia sui social network, dove Macron sta cercando di raggiungere un nuovo pubblico, più giovane, anzi giovanissimo.
È un buon investimento?
Andando sul territorio, prova a ricucire lo strappo con la cosiddetta Francia rurale, a scrollarsi di dosso l’etichetta di presidente dei ricchi. Sta dando certamente un segnale positivo. Nei sondaggi, premia l’ascolto. Macron approfitta però anche delle telecamere al seguito per annunci acchiappa-giovani, dal Pass Sport, l’aiuto di 50 euro a bambino per iscriversi a un club sportivo, al Pass Culture, 300 euro destinati a 800mila giovani 18enni da spendere in cinema, concerti, musei, libri, strumenti musicali, dischi.
Presidente e uomo-marketing?
In parte, qualche ex gilet giallo grida infatti alla propaganda di Stato. Ma ad essere sinceri le uscite di Macron sono anche segnate da incidenti di percorso: lo schiaffone di protesta incassato l’8 giugno, e appena due giorni fa la domanda rivoltagli da un bimbo in una scuola in Piccardia, proprio sul ceffone rimediato dal presidente dieci giorni prima.
Cos’è successo?
“Come stai con lo schiaffo che hai preso?” gli ha chiesto lo scolaro. Il video ha fatto il giro dei social, Macron ha risposto quasi stizzito, dicendo che il suo aggressore ha sbagliato e che, come nel cortile della scuola, non si deve mai colpire qualcuno. Insomma, bene il Macron youtuber. Meno, il Macron “pellegrino”.
Per chi vota la sinistra?
Vota? L’astensione mi pare diffusa più a sinistra che a destra in questa fase. Vedremo. Ci sono almeno quattro sinistre in Francia, e ognuna sembra ancora in cerca di autore, di elettore e di potenziale candidato adatto alle variabili della gauche.
Dopo le municipali del 2020 Macron aveva cambiato il governo, sostituendo Philippe con Castex. Lo farà anche stavolta?
Non vedo sostituti. Castex nasce come uomo-cerniera, gollista trasversale, istituzionale, esperto. Quasi un ufficiale di collegamento tra l’Eliseo e gli eletti locali. Magari poco carismatico, ma giusto per permettere a Macron di dare una sterzata al quinquennato senza troppi scossoni. Se le elezioni andranno male per l’alleanza di governo – con ben 15 ministri candidati, alcuni come capilista –, un nuovo cambio equivarrebbe a certificare la sconfitta. Più utile dire che in fondo sono voti locali. La sfida locale si gioca più tra la destra gollista e quella lepenista, che non tra il Rassemblement National e En Marche.
Si dice che il Rn per la prima volta nella V repubblica potrebbe guadagnare sei regioni importanti. Che ne pensi?
Non ne vincerà sei, è quasi impossibile, ma se saranno una o magari due avrà comunque dimostrato una crescita nel radicamento e nella creazione di futura classe dirigente. E sarà un terremoto. Non dimentichiamo che si vota in due turni. Vedremo ai ballottaggi. Oltre alle regionali i lepenisti sognano la vittoria in dieci dipartimenti. Vedremo che effetto avrà il doppio turno stavolta, di solito penalizza il Rn.
Anche se non fosse proprio così, cosa ci direbbe il risultato per le presidenziali dell’anno prossimo?
Le alleanze locali non sempre coincidono con quelle nazionali. Alla destra lepenista si sono avvicinati volti della sinistra, vedi il caso dell’Alvernia-Rodano-Alpi, dove il Rn vanta un trentenne dal profilo atipico, Andréa Kotarac, ex eletto della sinistra, con poche chance. Se il Rn va benone, è anche perché Marine Le Pen ha investito su una nuova generazione di politici e dato ampi margini di manovra al giovane leader Jordan Bardella per questa tornata, che forse diventerà una calamita per le presidenziali per un elettorato bipartisan orfano di carisma (a sinistra) o di un progetto (gollista).
Cosa è cambiato rispetto al voto precedente?
L’elettorato è più mobile da quando Macron ha sconvolto il vecchio bipartitismo. La fine del “chiunque fuorché Le Pen” è sempre più vicina, se è vero che Libération ricordava appena poche settimane fa come, anche a sinistra, non si farà barriera a prescindere contro Le Pen alle presidenziali.
C’è un impatto della crisi sanitaria su questo voto?
In qualche modo, sì. La pandemia ha messo alla prova anche i sindaci e le regioni, sulla gestione del territorio, dei controlli. Da qualche parte sono stati meglio compresi dalla popolazione, contestualizzati, in altre zone meno. Dicevo dei giovani: multarli per delle feste nei boschi sarà pure giusto, ma mandare gli agenti in tenuta antisommossa in alcuni casi è parso esagerato.
Macron ha una popolarità più alta di Sarkozy e Hollande a un anno dalla presidenziali durante i rispettivi mandati, nonostante la crisi attuale. Cosa significa?
Sia Sarkozy, sia Hollande avevano, e hanno tuttora, una connotazione politica fortemente riconoscibile. Neogollista il primo, socialista il secondo. Macron molto meno. Quando si testa la popolarità presidenziale, si sonda anche la figura del presidente della Repubblica, non solo quella del leader di partito, ma dell’uomo che incarna un’istituzione. Macron ha dalla sua la fortuna di avere un partito-persona, En Marche, che sostanzialmente esegue o cerca di difendere la sua linea politica.
Cioè?
È il partito che si identica con lui, non viceversa. Macron si smarca spesso dalle polemiche su singoli episodi, sui provvedimenti più controversi che agitano il Parlamento. Sarko di fronte alle contestazioni rispondeva a tono, Hollande anche, a suo modo. Macron accusa il colpo, ma non cerca di puntare il dito contro qualcuno, un colpevole, non parla di manina ispiratrice delle critiche contro di lui.
Ad esempio?
Sulle violenze di strada, come sulla presunta guerra civile che coverebbe sotto le ceneri del dissenso verso il presidente dei ricchi che non difenderebbe abbastanza la Francia dall’islamismo, ha detto la sua senza buttarla in politica, mantenendo intatta l’immagine di un presidente-garante dell’ordine pubblico.
E sulla pandemia, Macron non ha perso nulla?
Sulla pandemia, ma anche sulla crisi del lavoro, pagano più i ministri competenti che non Macron. L’inquilino dell’Eliseo divide l’opinione pubblica su alcuni temi, lancia sassi nello stagno della politica, ma non assiste quasi mai alla propagazione e agli effetti delle sue parole. Macron è sempre “in marcia”, e certe volte anche a marcia indietro. Per esempio sulla riforma delle pensioni, in forte ritardo. Chissà se riuscirà a realizzarla. Per ora gli basterebbe che En Marche vincesse in Bretagna, una delle rare possibilità di vittoria del partito presidenziale in queste elezioni regionali.
(Marco Tedesco)