Quasi ce la stavamo facendo a vederlo. A vedere, ovviamente, Avengers: Endgame. L’ultimo episodio della saga è giocoforza imperdibile. Eppure, sala dopo sala, e dopo sala ancora, ci siamo sempre trovati costantemente un muro di persone pressoché insuperabile, una calca ai botteghini degna di una finale di Champions League. Del resto, il film ha raccolto più di un miliardo di incassi al suo debutto. Magari, a essere microscopici come Ant-Man o eterei come la Donna Invisibile dei Fantastici 4 ce la saremmo sfangata e saremmo entrati; e ce l’avremmo fatta pure a spallate con la forza di Hulk oppure con i volteggi ragnatelati di Spider Man… Ma noi, che pure possediamo un certo appeal nel far sorridere, non siamo mica dotati di super-poteri e quindi… o coda o nisba. Come si dice: super-volere non è super-potere…
Ma non ci siamo rassegnati. Lì per lì avremmo voluto andare a vedere “Edge of the Knife”, o meglio “Sgaawaau K’uuna”. Che roba è? Presto detto. Trattasi di una pellicola canadese; vi si narra una tragedia familiare, una storia immersa nel soprannaturale e tuttavia basata sui temi universali dell’amore, della perdita e del tradimento. A essere poco universale è l’Haida, la lingua del film oggi parlata e capita da appena 20 persone al mondo, cioè dagli ormai quasi spariti indigeni nativi delle Haida Gwaii, un arcipelago della Columbia Britannica, in Canada. Un vero peccato che il film, dal tanto immaginabile quanto risicatissimo pubblico, venga proiettato nelle comuni sale o multisale. Nooo… La visione è singola e potrebbe capitarvi durante una risonanza magnetica, magari all’interno di una cabina telefonica, oppure su uno skilift, all’ultima sciata della stagione, con annessa tormenta non prevista dalla primavera inoltrata… E siccome dividerci, a noi due non ci aggrada, abbiamo lasciato perdere.
Epperò incuriositi da un trailer sul visual vernacular (cioè il linguaggio universale del cinema) ci siamo tuffati sul Festival del Silenzio, che si è chiuso domenica a Milano. Una rassegna di altissimo livello culturale, come ci ha ampiamente dimostrato la conferenza inaugurale che, vorremmo sgombrare il campo da equivoci, non era dedicata al cinema muto. Anzi, proprio per darvi idea del contesto, riportiamo un paio di passaggi salienti se non fondamentali.
Domanda: … … … …?
Risposta: … … … … …. … ….
Domanda (dal pubblico): … …?
Risposta: …!
Quanti spunti! Tant’è che saremmo volentieri noi pure intervenuti per dire la nostra, ma… per mancanza di tempo siamo stati zittiti!
Sempre più stimolati dall’originale contesto, abbiamo provato a curiosare tra le diverse sale. E dobbiamo confessarvi che i film proposti erano così di ottima fattura da restare… senza parole. Ecco i titoli che ci hanno maggiormente sorpreso.
Vita di Bernardo. Il film racconta le insonni notti di Bernardo, il servo muto di Zorro, le sue preoccupate veglie in attesa del ritorno del suo amatissimo padrone (nonché eroe mascherato di cappa, cavallo e spada) avvezzo a combattere contro soprusi, usurpatori e malvagi di ogni ordine e grado.
A tutto volume. Vi si narra di un bibliotecario, alle prese con intense e vivaci giornate di dedizione alla lettura di chissà mai quali libri. Una citazione al merito per la colonna sonora: il fruscio delle pagine sfogliate armoniosamente è degno di una colonna sonora di Ennio Morricone!
L’invasione dei Mut-anti. Finalmente un kolossal dedicato ai super-eroi che, silenziosamente e tacitamente, combattono contro il crimine. Di grande impatto, oltre che chiarificatore, il sottotitolo: “Misfatti, non parole!”
Giù di corda vocale. Struggente racconto visivo di una cantante lirica che improvvisamente perde la voce. Non potendo più calcare le scene dei maggior teatri, cade in uno stato depressivo, incorre più volte in tentativi di suicidio e si converte in punto di morte alla musica punk.
L’urlo di Munch. Impressionante film impressionista: 72 tesissimi minuti nei quali la telecamera resta fissa sull’immagine dell’importantissima opera artistica. Senza commenti, senza sottofondo musicale. Una pellicola che resterà impressa e non passerà sotto silenzio!
Bassi fondi. Salutato dalla critica come la “Gomorra degli oceani”, racconta con crudo realismo la dura vita di pesci negli abissi e del loro inconsapevole essere dei sushi viventi.
Silenzio prego! Docufilm dedicato ai giudici di sedia, quelli del tennis, per intenderci: da Wimbledon a Montecarlo, da Flushing Meadows agli Australian Open, un interminabile ma doveroso omaggio a chi, sull’erba, sul cemento o sulla terra battuta, si batte contro la caciara facile e il tifo becero.