Lettori mascherati, o meglio, mascherinati, questa settimana abbandoniamo per una volta le faccende politiche di casa nostra, per lasciare spazio a quel che succede in giro per il mondo. E se spazio dev’essere, spaziamo in Turchia!
La notizia è di qualche giorno fa: accanto all’antico sito neolitico di Göbeklitepe (al confine con la Siria) è apparso in maniera a dir poco misteriosa, per poi scomparire quasi immediatamente, un monolite di forma triangolare e di composizione metallica, di 3 metri d’altezza circa. Ben visibile, l’iscrizione in Göktürk (antico alfabero turco) recante queste precise parole: “Guarda il cielo, vedrai la Luna”.
Il mistero è stato ben presto dipanato: il presunto monolite altro non era che un mero espediente pubblicitario per “dare spazio” (è proprio il caso di dirlo!) a un evento, nel corso del quale il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha svelato – udite udite – il programma spaziale della “Mezzaluna”: Ankara infatti vuole organizzare una missione sulla Luna (intera, non dimezzata) entro il 2023; l’occasione è ghiotta, perché in coincidenza con il 100° anniversario della Repubblica. Pertanto, l’obiettivo è assai ambizioso: inviare un cittadino turco nello spazio. “Sono certo – ha affermato con grande orgoglio Erdogan – che gli ingegneri turchi riusciranno a portare a termine questa missione”. Ce la faranno? I giornali locali, celebrando l’evento, se ne sono detti convinti, poiché – a sentir loro – gli scienziati turchi “hanno Bosforo nel cervello da vendere”.
Il paese ha accolto con entusiasmo la notizia del suo presidente. Anzi, gli alleati ultranazionalisti, in un eccesso di sciovinismo ottomano (una particolare forma di esaltazione della patria, praticata da ciascuno sul divano della propria abitazione), hanno calorosamente suggerito di sostituire alla parola “astronauta” il termine turco di “cacabey”, a imperitura memoria di Nurettin Cibril Bin Cacabey, astronomo nonché funzionario del governo selgiuchide, vale a dirsi del grande impero medievale sunnita, da collocarsi storicamente intorno al XIII secolo d.C.
La proposta, come era naturale, ha incontrato subito il favore dell’ente spaziale turco, che in men che non si dica ha stilato “Le 5 regole del perfetto Cacabey”, sorta di codice di comportamento che ciascun cavaliere jedi, pardon ciascun “astroturco”, è chiamato solennemente a rispettare. Tali norme, tradotte e adattate alla nostra lingua, senz’altro più digeribile e ovviamente comprensibile, suonano più o meno così:
1) Un cacabey per niente al mondo può essere un cacadubbi.
2) Un cacabey, come tale, non deve mai apparire un cacasotto.
3) Un cacabey, al momento del lancio, non dovrà farsi venire la cacarella.
4) Un cacabey, una volta a bordo dell’astronave, non potrà fare… cacastronerie.
5) Un cacabey, ca(s)casse il mondo, tiene alla propria astronave come alla Turchia stessa.
Una nuova generazione di militari spaziali si appresta a compiere spericolate missioni astrali? In realtà, fonti autorevoli accreditano la Turchia di avere già, seppur ufficiosamente, realizzato il suo primo vettore spaziale, chiamato YilRaz. Si tratterebbe di un razzo interamente costruito in sinergia tra il Centro di Astrofisica dell’Università di Istanbul, la scuola Radio Elettra di Torino e il mitico mercatino milanese degli O bey O bey: c’è perciò tanta Italia in questa operazione, seppure ufficialmente nulla è trapelato sullo scacchiere internazionale. Se non il nome dell’operazione, intitolato a una delle più importanti città turche: Trebisonda.
Le sparute voci di fallimento dell’impresa sono state rapidamente messe a tacere; sembrerebbe certo che la sonda, poco dopo la partenza, sia scomparsa dai radar del centro spaziale turco. Al che gli scienziati, immaginatevi lo sconforto, unito al comprensibile imbarazzo e alla vergogna per la figuraccia, abbiano dovuto ammettere, comunicandolo ad Erdogan: “Abbiamo perso la Trebisonda!”
Erdogan ha incassato duro, ma non si è lasciato prendere dallo scoramento. Ed ha concluso la sua “prolusione stellare”, in risposta al fallimento dell’ingegneria aerospaziale turca, prospettando un futuro ricco di soddisfazioni, per sé, per la nazione e per la storia stessa della Turchia. Queste le sue precise e beneauguranti parole, che ha pronunciato commosso: “Ricordate che il futuro è dalla nostra parte! Quelli che andremo a vivere, statene certi, saranno ricordati per sempre come cacabey tempi!”.
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