In questa cruciale settimana che ha tenuto a battesimo il governo del Draghi, che ha visto albeggiare gli ottavi di Champions e tramontare, forse definitivamente, la leggenda del tikitakico Barcellona, che riempie le pagine e gli schermi di ghiotte anticipazioni sull’imminente Festival di Sanremo, una domanda, sopra tutte le altre, emerge dal coro delle italiche voci bianche: ma a voi… fa già male il braccio?
Perché sì, dai, ammettiamolo, volenti o nolenti, attenti o distratti, con o senza sms di conferma, se non lo abbiamo ancora fatto, siamo tutti nella spasmodica attesa del vaccino. Tant’è che la Quaresima per molti si sta palesando in maniera sempre più evidente alla stregua di un laicissimo avvento della siringa.
Vedete forse in giro gente col “braccino corto”? Naaaaa! Persino i più scettici, forse perché timorosi di non poter andare in ferie (le ferie? E chi ci pensa alle ferie?), e forse nemmeno allo stadio, già indossano la polo o la camiciola a maniche corte, in attesa dell’insufflazione (si potrà dire insufflazione?) del fatidico ago.
Poi saremo liberi? Saremo salvi? Chi potrà risolutamente dare una riposta ferma e certa a questa domanda da far tremare le vene, che nell’imminenza dell’ago non è certamente il massimo? Domande alle quali sarebbe forse in grado di rispondere un virologo (ma non ce l’abbiamo sottomano) o comunque uno scienziato (con noi si sono negati tutti), magari un giornalista specializzato (hanno paura che un eventuale nostro gradimento tolga spazio alla loro aura): gente inflazionata, che non fa al caso nostro.
Ci siamo così orientati non verso un cittadino qualsiasi, ma a “uno” fuori dal comune. Una non banale ricerca ci ha portato nei paraggi di una delle tante sopraelevate, come si chiamavano un tempo, della Milano–Genova, segnatamente al viadotto Coppetta, appena fuori dal comune di Serra-Riccò, a pochi chilometri dal capoluogo ligure.
Quell’uno di nome fa Andrea Piero Tuttobene. E “occhio” ai suoi nomi di battesimo. Quarantaquattro anni (“In fila per sei, col resto di due”, afferma con quel poco di umorismo che gli è rimasto in corpo), una moglie di qualche anno più giovane, due figli, un maschio e una femmina, che dividono con i loro genitori una dignitosa roulotte, situata proprio lì, come turlupinano i vicini, qualcuno anche di tenda (e non siamo mica in campeggio, mannaggia) “… sotto il ponte di Baracca, dove c’è Pierin che fa eccetera eccetera…”. Il “nostro” Pierino non se la prende affatto, forte di una passione per la semantica e la filologia (con tanto di laurea), seconda solo alla sua precipua professione, esercitata, come sentiremo, fino a poco tempo fa.
Signor Tuttobene, buongiorno, e soprattutto, tutto bene? Scusi la battuta poco salace, ma è solo per rompere il ghiaccio.
Difatti qui fuori fa un freddo davvero glaciale. Accomodatevi (indicando l’interno della roulotte). La temperatura è pressoché identica, ma almeno stiamo seduti vicini vicini. Con la FFP2, ovviamente!
Possiamo sapere qual è la sua attuale occupazione?
Sono repentinamente passato da ristoratore a ristorato: dalla Caritas, ovviamente. Ma come vede, mi è venuto a mancare il lavoro, ma non certo la voglia di sorridere ancora.
Si sente pronto a parlare di vaccini? Tenga presente che noi l’abbiamo interpellata come esperto di sintassi, pragmatica, neologismi e preposizioni articolate da pensieri robusti e positivamente ipotattici. Vogliamo una siringata di congiunzioni e interiezioni, soggetti, verbi e complementi, anafore, apodosi e predicati che lascino i nostri lettori basiti.
Sui vaccini mi sento preparatissimo. Avendoci studiato su – il tempo libero non mi manca -, sono pronto a somministrarvi una bella dose di semantica applicata alla salute!
Bene, perché la materia è incandescente. Cominciamo subito: cosa ci può dire del “Pfizer”?
Beh, a meno 70 sottozero non si può certo parlare di materia incandescente… È un vaccino che sento distante, mi lascia abbastanza freddo. Anche il suo nome non aiuta: le lettere P, F e Z così ravvicinate non promettono niente di buono. Se non un contagio assicurato, nel caso di sputazzo da parte di persona infetta.
Non lo ripeteremo, il negletto sostantivo, per non turbare le sue gelide considerazioni. Allora, di certo, il nome “Moderna” addurrà a ben altre considerazioni di efficacia farmacologica. O no?
A voi pare che un nome così, simile a un settimanale femminile, a una cucina, a una scuola di danza, possa generare quella carica di fiducia e salutare energia, che, solo per fare un esempio, stimola la sola pronuncia delle parole “Pocket Coffee”? E certamente non aiuta il monodosaggio, avvertito come una “diminutio salutaris”. In un’epoca di incertezze, costanti e infinite, un nome tipo “Stabile” avrebbe avuto un impatto migliore sul popolo dei vaccinandi.
Le sue analisi filologiche si fanno via via oltremodo interessanti. A questo punto, la curiosità riguardo al suo giudizio su Astrazeneca ci tiene inchiodati a queste scomode poltroncine sulle quali ci ha costretti…
Che dire di uno sgangherato mix di filosofia spicciola shakerata alla fin troppo banale astrologia? Roba che varrebbe la pena iniettare, non in un ospedale o in un centro specializzato, bensì in qualche salone di bellezza del centro…
Tirando le somme?
Un doppio augurio: il primo, che questa intervista possa essere dignitosamente compensata: la legna da ardere costa, e qualcosa dovremo pur mettere sotto i denti. La seconda è l’augurio che quei burloni dei miei vicini di viadotto hanno inventato, elidendo la penultima vocale dal mio primo nome di battesimo: Andrà Tuttobene. Sperare non costa niente, tant’è che al ministero della Salute hanno riconfermato Speranza. Finché c’è lui, c’è vita. O forse il contrario?