Donna Assuntina fece colazione presto, come era suo solito, tanto Meryl non si sarebbe alzata che dopo le otto. La Rufalla invece stava a donna Assuntina come l’ombra a Peter Pan: immancabilmente presente, ma tutt’altro che speculare; in altre parole, si faceva i fatti suoi, come sempre. Infilatasi la giacca fucsia di pile, calda e pratica da mettere perché con la cerniera sul davanti, si mise a sedere nei pressi del davanzale, comoda e in vigile attesa. Non ci volle molto: come previsto, le scarpe da tennis colorate si materializzarono in pochi minuti. Assuntina si disse che la mossa era un po’ spregiudicata per le buone maniere di una donna della “Milano bene” come lei per prima si considerava, ma tant’è: la cosa era da farsi e si doveva fare. Ci aveva pensato su, rigirandosi tutta la notte, la decisione era stata presa prima dell’alba. Senza tentennamenti, mise in atto il suo piano.
L’arancione che avvolgeva i piedi di Elia si fermò a non più di 30 centimetri da una cosa che sembrava caduta dal cielo. Leggera, aveva avuto un impercettibile rimbalzo, atterrata al suolo. Si guardò in giro e la raccolse: era una caramella di gelatina al gusto di limone. Un’ultima occhiata prima di raccoglierla. Ma erano tutti distratti, come se gli adulti avessero sempre qualcosa di più serio da fare che a lui immancabilmente sfuggiva. Pensò che tenerla in mano sino a scuola non fosse una cattiva idea: il tragitto sarebbe servito per scacciare definitivamente le raccomandazioni dei suoi genitori riguardo al raccattare le cose da terra; sul marciapiede la caramella ci era stata davvero poco, perciò…
Fu solo il mercoledì mattina (come si diceva, c’era stato di mezzo il ponte dei morti) che ad Elia, dimentico dell’episodio del venerdì precedente, venne naturale di guardare in alto: un’altra caramella di gelatina, stavolta al gusto di lampone, era atterrata più o meno nello stesso punto della volta prima. Gli ci volle un po’, col naso all’insù, per mettere a fuoco l’ultimo piano del palazzo: c’era una persona, una signora vestita di viola, che sembrava decisamente anziana e che a lui pareva accennare ad un saluto. “Boh, magari mi sono sbagliato… magari salutava un altro… o magari è matta come un cavallo!”, furono le semplici supposizioni di un bambino di undici anni non ancora compiuti, che aveva premura (si, ma non troppa) di arrivare a scuola.
Dal giorno successivo, che era un giovedì, tutto gli fu più chiaro: quando il terzo gelée, questa volta al gusto di mirtillo, ebbe concluso il suo tragitto gravitazionale, Elia non ebbe più dubbi: la “signora Viola” (divenne quello il suo nome) lo faceva apposta, e la caramella era indirizzata a lui. Col passare dei giorni, ciò che prima era visto con sospetto, divenne per Elia una piacevole abitudine, ricambiata con gesti sempre più eloquenti verso la signora: dall’alto, donna Assuntina gongolava, per quanto da sotto nessuno, nemmeno lo stesso Elia, potesse accorgersene.
Passarono le settimane, l’inusuale rito assunse una bonaria consuetudine sia da parte della donatrice che del ricevente. Nessuna aspettativa: donna Assuntina non si spaventava quando Elia mancava un appuntamento (“… avrà qualche linea di febbre, oppure la mamma l’ha tenuto a casa per i troppi compiti…), né viceversa (“… oggi fa tanto freddo” diceva tra sé e sé Elia “la signora Viola se ne sarà rimasta in casa al calduccio: è vecchia e magari ha paura di beccarsi un raffreddore…”).
Arrivarono le vacanze di Natale: il giorno 22 dicembre, l’ultimo di scuola, in risposta all’immancabile bon bon (per l’occasione ai frutti di bosco) donna Assuntina ricevette un saluto più caloroso del solito, che contraccambiò immediatamente: entrambi, è proprio il caso di dirlo, ci avevano preso gusto.
Passò pure l’Epifania e il Carnevale sancì di fatto la fine del freddo intenso e l’affacciarsi, curioso e ciclicamente inedito, di una temperatura più accettabile. Gli infinitesimi dettagli che arricchirono questo strano connubio non sono raccontabili a parole (non si vede bene che col cuore, ha detto un tale), ma la Pasqua (e il successivo maxi-ponte) li vide entrambi – come si può dire… – più disinibiti e partecipi: lei nel lancio, lui nella raccolta.
Due complici senza un piano da mettere in atto, due rette convergenti in un punto d’incontro, due lontananze in momentaneo stato di prossimità.
Com’era prevedibile, venne primavera, e anche di più. La prima settimana di giugno, donna Assuntina l’aveva sempre saputo, sarebbe stata l’ultima. Poi magari, poi chissà: la chiusura della scuola, le vacanze… non solo quelle del ragazzino. Se la sarebbe sentita ancora di andare a Courma senza il suo Giangi? Questo e altro occupava la mente della “signora Viola” la mattina di quel 9 di giugno, ultimo giorno di scuola, in attesa dell’arrivo delle scarpe da tennis arancioni. Che non tardarono.
Fece un po’ fatica a riconoscerle, apparentemente mescolate com’erano ad un altro colore, che dall’alto sembrava fucsia. Ma si fidò del suo istinto, e fece il solito lancio.
L’inchino di Elia a raccogliere la caramella fugò ogni dubbio nella donna, che non la smetteva di cercare di mettere a fuoco i piedi del ragazzo, senza riuscirci. Finché capì: la macchia di colore fucsia non ci mise molto a staccarsi dal corpo del ragazzo; tempo qualche secondo, si rese conto che quell’indistinto color violaceo altro non era che un palloncino che Elia stava cercando di farle arrivare. Dal basso aveva preso bene la mira, sperando che il vento (peraltro assente quella mattina) non ci si mettesse di mezzo. Quanto tempo trascorse prima che il palloncino compisse il suo percorso? Il tempo necessario per prepararsi alla presa, Assuntina lo trascorse col cuore in gola, pregando il Cielo che nessuna brezza venisse a interferire il gesto del bambino. Così accadde. Quando Elia fu certo che la missione era andata a buon fine, dal basso salutò con ampi gesti delle braccia la sua “signora Viola”. E fu l’ultima volta che i due si videro.
Solo a pomeriggio inoltrato, poco prima dell’inizio della preparazione della cena, Meryl se ne accorse. Senza dare troppa importanza alla scoperta, si rivolse a donna Assuntina: “Signora, ha visto che nel palloncino c’è qualcosa?”. Senza fretta, l’anziana signora smise di tritare il prezzemolo e si lavò bene le mani, come per chi si prepara ad un gesto solenne. La Rufalla qualcosa intuì, sperando di raccogliere da sotto il tavolo qualche ghiotto boccone.
Rigirò il palloncino ancora gonfio tra le mani, sapeva che mai e poi mai l’avrebbe fatto scoppiare, sarebbe stato un gesto sacrilego: “Grazie, Meryl, aspetterò che si sgonfi”.
Dovette attendere un paio di giorni per tagliare, senza troppa difficoltà, il nodo. Pensò spesso alla meticolosità con la quale il ragazzo aveva ordito il suo piano: chissà dov’era andato a farsi gonfiare il palloncino per farlo volare…
Tenne il biglietto ripiegato tra le sue mani per qualche minuto, temendo che ci fosse scritto troppo. O troppo poco.
“Oggi finisce la scuola, e dopo le vacanze andrò alle medie. Non sono vicine a casa mia, così mi accompagnerà la mamma in macchina. Grazie di tutto. Le gelatine all’arancio sono le mie preferite”.
Donna Assuntina lesse e rilesse il pezzo di carta, aspettando di ritrovarsi addosso quel senso di vuoto già sperimentato con la dipartita del suo Giangi. Nulla di tutto ciò, anzi… Come una sensazione di leggerezza, di chi sa che le cose, quando hanno un fine buono, fanno in modo che tutto venga ricondotto dove deve andare.
Con animo ritrovato, nel fine settimana si disse che era tempo di risentire, o per meglio dire ritrovare, i suoi nipoti. L’avevano aspettata a lungo, l’attesa avrebbe dovuto essere degnamente ripagata, meglio se con un buon pranzo. Meryl le avrebbe dato sicuramente una mano. E anche la Rufalla, silenziosamente come da par suo, sembrava condividere la decisione ormai presa…
(2-fine)