Certo che, cari Lettoràstri (amici lettori dei ComicAstri), ci vuole un bel fegato (e uno stomaco fidato, buone vie biliari, un pancreas discretamente in forma, per non parlare dell’intestino e tutto il resto) per proporre una riflessiana (riflessione ridanciana) sulla siccità proprio in un fine settimana che, almeno qui al nord, ha proposto un’estate spilorcia, un sole solo pallido, un clima che le donne… almeno lo scialle.
È che abbiamo cominciato a scriverlo a primavera, quando la pioggia appariva poco più che un auspicio. Una volta pronto per la stampa… giù acqua. E noi a dire: lo teniamo buono, vedrai che l’anticiclone ci metterà tutti al muro, con le ascelle pezzate. E invece… Invece il tempo stringe, la prossima settimana inizia il nostro ciclo estivo, e dunque…
La siccità (dal latino siccus) è fenomeno che non riguarda più solo alcune aree tipo l’Africa, il Medio Oriente o il sud-est del Brasile; anche qui in Italia paghiamo pegno, con conseguenze evidentissime. Parecchi fiumi si accingono a cambiare nome. Al nobile corso d’acqua che sgorga dal Monviso verrà dato il nome di PocoPo; le Dore, rispettivamente Baltea e Riparia, saranno ribattezzate Dora Minga (se la va avanti inscì) e Dora Inpoi (tanti sassi e poco fiume), affluenti ininfluenti che non affluiscono. Il Ticino? Si è così ristretto che a Novara già in molti lo chiamano “il Ticinino” (in dialetto, ül Ticinìn). E l’Adda? Asciutto come Piero Fassino (do you remember?) dopo una dieta, che fa esclamare a qualche agricoltore locale, trapiantato dal profondo Sud, il più classico dei “c’Adda fa?”.
Anche la meteorologia, con tutto il suo esercito di weather man da salotto, si sta rassegnando all’idea che a sud delle Alpi se ne vedranno davvero pochi, di piovaschi.
Rebus sic stantibus, consci che la creatività italiana – un ben fornito parterre de roi di eroi, santi, poeti, navigatori e… commissari tecnici – ha saputo nei millenni cogliere occasioni che altri neppure lontanamente sarebbero riusciti a intravvedere, anziché le solite e scontate lagne politiche (“E’ colpa della destra populista e reazionaria”; “No! Si faccia un esame di coscienza la sinistra fannullona, esperta di diritti e assai poco prodiga di doveri”), perché non immaginare in anticipo di sfruttare a proprio vantaggio il dato incontrovertibile che l’Italia, lentamente ma inesorabilmente, si sta avviando a diventare un deserto? Proviamo allora a distribuire qualche prodigo e gratuito consiglio.
Capitale. Perché la Lega non immagina di cavalcare l’onda della desertificazione (perdonate l’ossimoro), chiedendo a gran voce che la capitale da Roma si sposti… a Milano? Certo che no! Quando si ha a disposizione una città come Sabbioneta (provincia di Mantova, pur sempre al di qua del Po), che già nel nome ben predispone a futuri scenari siccitosi, è un peccato non approfittarne.
Politica. Nell’attuale deserto di rappresentanza tra Stato e base sociale, i partiti sono chiamati a rivivere una seconda giovinezza, attraverso le mai abbastanza compiante… truppe cammellate. Di cosa si tratta? Per Lettoràstri giovani e/o smemorati, trattasi di cittadini, prezzolati o militanti che siano, aventi un tempo la funzione di sostenere manifestazioni, comizi e riunioni di piazza. Pardon, di oasi!
Pubblica amministrazione. I servizi pubblici si troverebbero nell’ideale condizione di poter insabbiare – letteralmente, in un sol colpo e sotto tonnellate di arenile – lungaggini, inefficienze e magagne varie. Meglio di così…
Agricoltura. Una risorsa da rilanciare, “mettendo in campo” un cambiamento davvero epocale, arando (e dunque facendo a pezzi) la concorrenza europea. Come? Vigneti rinsecchiti che fanno posto a ben più floridi palmeti; la produzione nazionale enologica convertita nel ben più remunerativo dattero, così da offrire al mercato internazionale una ricca varietà tra datteri rossi, bianchi, rosé, moscati, secchi e prosecchi. E persino cuvée. Il vino? Lo si lasci agli ubriaconi!
Sport. Il maggior quotidiano sportivo, la Gazza, dovrebbe cogliere la palla al balzo, proponendo una Milano-Hammamet sulla falsariga della Parigi-Dakar, una corsa (automobilistica? O podistica? Roba estrema da ironman) a tappe nel deserto, che andrebbe col tempo a sostituire il Giro d’Italia, giacché pedalare tra dune e sabbia sarà praticamente impossibile.
Economia/1. In Brianza, nobile terra di falegnami, mobilieri e artigiani della qualità, nuove opportunità, tramite profonde ristrutturazioni produttive, potrebbero sorgere da antiche fabbrichette e botteghe ormai obsolete. Come? Trasformandole in laboratori per la produzione di clessidre – ovviamente in legno – dal design originale e dalla qualità garantita dalla tradizione: per di più, di legna ne servirebbe poca e la sabbia non mancherebbe di certo!
Economia/2. Nella prospettiva di un’Italia più equatoriale, a parer nostro sarebbe Stellantis, la società automobilistica nata dalla fusione tra Fiat-Chrysler e la francese Psa, a trarne i maggiori benefici. Quella volpe del deserto di John “Rommel” Elkann sarebbe in grado di rilanciare sul mercato italiano (e non solo) un modello che potrebbe valere una clamorosa impennata di immatricolazioni: la mitica Duna! Nei sotterranei delle concessionarie di tutto il mondo se ne contano ancora parecchie decine di migliaia, perché tra fine anni 80 e inizio anni 90 le vendite di quelle auto andarono oltremodo… deserte!
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