L’avrete certamente letto anche voi dell’Art Basel di Miami Beach, la galleria dove è stata esposta l’ultima opera di Cattelan, intitolata “Comedian”.

Cattelan, Cattelan… mumble mumble… vediamo cosa dice il nostro database mentale… Trovato! Avete in mente Alessandro, giovane ma già scafato presentatore di X Factor, recentemente giunto al suo epilogo? Ecco, scordatevelo! Si tratta invece di Maurizio Cattelan, artista padovano famoso nel mondo per “America”, il wc tutto in oro massiccio 18 carati (e presto verranno realizzati “Oceania”, il lavandino tempestato di perle nere di Tahiti, e “Africa”, uno schermo tv in basalto tutto nero da 192 pollici ricoperto di onice e quarzo fumé), per il “dito” di Piazza Affari a Milano e per tante altre amenità (ça va sans dire) che fanno della provocazione il loro elemento costitutivo. “Comedian” raffigura semplicemente una banana, vera, attaccata al muro con del nastro adesivo.



La critica, chissà perché, la considera un’opera arcaica, primordiale, primitiva. Se, per esempio, Paolo Piccozza, presidente della Fondazione De Chirico, ha ban-dito senza appello la performance artistica abbattendola con una picconata (e che altro poteva fare, con un cognome così!), Vittorio Sgarbi, con toni ovviamente… sgarbati, ha parlato di “bananità dell’arte”, mentre Achille Bonito Oliva, pur spremendosi a lungo (spremitura a freddo, che ben si addice alle olive di qualità), non ha trovato di meglio che lasciarsi andare a un laconico “Bah!”.



Eppure il pubblico, più incuriosito che estasiato, accorre numeroso all’Art Basel e due copie dell’opera sono state vendute a ben 120mila dollari. Cadauna, beninteso. Ma quel va sottolineato è che “Comedian” piace – letteralmente – anche agli altri artisti. E tanto! Così tanto che, sabato 7 dicembre, David Datuna (un artista americano di origini georgiane) si è avvicinato all’opera, ha tolto lo scotch, staccato la banana dal muro e, davanti a visitatori increduli e divertirti, l’ha divorata ripetendo più volte: “È molto buona”. Si è trattato, a suo dire, di una performance artistica, a cui ha dato ulteriore dignità assegnandole il titolo Hungry Artist (Artista affamato), che non suona meno provocatorio della parte dell’opera ingurgitata (non sappiamo quale fine abbia fatto lo scotch). Chissà se Cattelan l’avrà digerita…, mentre il Datuna non ha avuto alcun problema di stomaco: “Amo il lavoro di Maurizio Cattelan – ha affermato – e amo davvero questa installazione. È deliziosa”.



A conti fatti, una domanda sorge spontanea: non è che l’arte contemporanea sia ormai… alla frutta? E Cattelan non ha – immaginiamo involontariamente – inaugurato una nuova corrente artistica, il “Frutturismo”? Perché altri artisti di fama (e se fama non è ancora, lo sarà a breve, credeteci!) si sono cimentati con simili performance: la frutta quindi “tira”. Ne guadagneranno l’arte in primis, ma non di meno le saccocce dei maestri che stiamo per presentarvi.

“Chi è già lì ovvero Chiliègià”. Opera lignea di Durone da Vignola, meglio conosciuto come Mastro Ciliegia. Già il titolo svela la complessità di un’opera, che nella sua apparente semplicità, è un esplicito invito a mettersi in movimento. Perché nessuno è già lì, ma tutti abbiamo il dovere civile e morale di andarci. Armiamoci e partite!

“Kiwivrà, berrà!”. Opera di Andy Kiwharol. Il presente (la frutta) e il futuro (il bicchiere colmo) non esistono più. Come frullato da un’esistenza che sfugge rapida ed esasperata, l’uomo ha un’unica, sola ma inestinguibile chance: attaccarsi alla cannuccia, per tentare ancora di assaporare il gusto della vita.

“Mela regali?”. Opera “melensa” di Melangelo Melone, detto “il Renetta”, pittore della Val di Non. Non è possibile non innamorarsi di questa immagine, non statica, non ferma, non immobile. Che pure non riesce a disvelare, nell’apparente intimo abbraccio di una mela avvolta in mani d’uomo, se si tratti solo di uno scambio commerciale (il mercato, simbolo di un’economia che mangia l’anima) o se sia possibile trovare ancora spazio per momenti di solidarietà e di amore. Non saremo certo noi a svelarvelo…

“Peramore”. O-pera di Pero della Francesca. Semplici picciuoli piegati l’un verso l’altro lasciano intravedere l’affetto che due pere, simbolo di due solitudini che si uniscono, si donano promettendosi amore reciproco. Saremo allora salvati da un picciuolo? E soprattutto, cosa rappresenta: una nuova prospettiva? L’infinitamente piccolo? La comune vicinanza di un’umanità stanca e lacerata? Domande che lasciano attoniti, quasi distrutti, proprio come la rovinosa caduta da un pero. Apperò…

“Cocco Vil”. Opera a quattro mani, quelle di Noce Di e di Vina Vil. Da una parte: stare adesi alla terra, come desiderio di non perdere le proprie radici; appiccicarsi alle poche certezze che abbiamo; aderire solo a ciò che riteniamo giustificato. Dall’altra la noce di cocco, come simbolo di ciò che si è rotto in maniera forse definitiva. Eppure simbolo vitale (il suo latte è di gusto sopraffino). Potrà mai sfuggire l’uomo a questa costante contraddizione? Potrà mai un giorno una buona colla aggiustare la noce di cocco spezzata?

“Le Angosture della vita”. Opera “angusta” di Paul Angauguin. I segreti sono la forma e la sostanza di una composizione naturale semplice, eppure composita. Così come l’angostura è un amaro ottenuto dall’infusione di una dozzina di piante aromatiche, la cui composizione è tenuta segreta, l’universo si disvela piano piano, trattenendo per sé il grande mistero a cui ruotano attorno domande granitiche: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Perché siamo al mondo? Ma soprattutto: quante gocce di angostura occorrono per la preparazione di un buon cocktail?