Se iniziamo con un indovinello, non è solo perché siamo amanti dei mitici quiz televisivi degli anni ’60 (che, se paragonati a quelli di oggi, fanno la figura di un indiscusso statista a confronto con uno qualsiasi dei nostri attuali governanti; senza far nomi, perché l’offesa non è nel nostro stile), ma innanzitutto per tratteggiare l’argomento di giornata.
Pronti? Via! La parola Patchamama vi evoca qualcosa? Se sì, bravi 7+: non vi fate trovare mai impreparati. Se no, possiamo subito rimediare alla vostra preoccupante lacuna con le classiche tre possibilità:
1) Patchamama significa, in lingua quechua, Madre Terra: si tratta di un’antica divinità venerata dai popoli che abitano l’altopiano andino, un culto a tutt’oggi ancora presente?
2) Patchamama è una famosissima canzone della grande tradizione brasiliana, come La ragazza di Ipanema di Carlos Jobim, Mas que nada di Sergio Mendes o la più recente Shimbalaiè di Maria Gadù?
3) Patchamama è il nome della squadra cilena che inaspettatamente contenderà ai brasiliani del Flamengo l’ormai imminente finale (23 novembre prossimo) della Copa Libertadores (vale a dire la Champion’s League del Sudamerica)?
Senza indugiare oltre, e al contrario di come si usa in questi casi, la risposta giusta non è la 2, nemmeno la 3, bensì la 1. Perciò, Patchamama = Madre Terra.
A dire il vero, il termine era anche a noi pressoché quasi sconosciuto, se non fosse per il suo sdoganamento avvenuto al recente Sinodo sull’Amazzonia, da poco concluso.
Interessati a saperne di più, ci siamo rivolti a chi poteva… saperne di più, ovvio. Ma le sorprese non sono mancate. Interpellato telefonicamente, il nostro amato Zingarelli (sì, proprio lui, il vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate qua è là in giro per il mondo) ha fatto un po’ orecchie da mercante: “Eeeh… per una volta mi cogliete impreparato. Non ne so nulla. Ciao!”. “Ma Zinga… non puoi piantarci in asso così” gli abbiamo ribattuto costernati. “Allora… rivolgetevi all’Ottorino”. Che poi altri non è che il cugino, Ottorino Zingarelli.
Ottorino non è il suo vero nome (che peraltro non conosciamo neppure dopo averlo conosciuto), ma la somma di otto fattori: 1) le sue origini nel capoluogo piemontese; 2) padre di nome Ottavio; 3) madre di origini ottomane; 4) nato prematuro l’8 di ottobre; 5) peso ott’etti circa; 6) ultimo di otto fratelli; 7) ottimista per natura; 8) (o meglio oto) sordo non proprio come una campana, ma quasi. Una conversazione assai problematica, quella che abbiamo avuto con lui, ma esauriente e utilissima per le dettagliate informazioni in materia che è stato in grado di fornirci.
Professor Ottorino, buongiorno. Allora Patchamama è la Madre Terra degli andini in lingua quechua…
Eeeh? (ripetiamo la domanda urlando come volessimo sentire l’eco della nostra voce in montagna) Certo che è così. Ma sgombriamo il campo da equivoci: per lingua quechua non si intende di certo, come qualche mio studente ha osato azzardare, quella che parlano tra loro i commessi della Decathlon. Si tratta bensì di una delle tante lingue dei nativi del Sudamerica. E Patchamama non è l’unica a essere venerata…
Ci renda edotti allora…
Eeeh? (idem come sopra) Accanto a Patchamama c’è Azurpa. I fonemi degli indios nativi sono molto semplici. Azur è il colore, Pa indica la paternità. Azurpa è il grande Padre Oceano, fonte di benessere, ma molto temuto, per via delle sue gigantesche onde, quando è arrabbiato. Le popolazioni di queste zone, preoccupate per l’inquinamento dell’uomo bianco, talvolta lo definiscono Pupùzurpa, pur non volendogli assolutamente mancare di rispetto.
Le nostre povere rimembranze da liceo, frequentato 40 anni fa, ci fanno intendere che in fondo stiamo parlando dei quattro elementi primordiali : terra, acqua, aria, fuoco. Ce lo può confermare?
Eeeh? (ormai è un mantra, ma noi siamo pazienti e curiosi). Sì, avete colto bene. Fondamentalmente stiamo parlando dei quattro elementi, a cui vengono affibbiati dei nomi per così dire arcaici. Il fuoco, ad esempio, è Ahi, un semplice fonema onomatopeico, teso probabilmente a indicare la forza e la pericolosità del “dio fuoco”. Ma gli indios distinguono tra un fuoco amico, che loro definiscono Ahiut (“Colui che ti dà una mano”: quello che scalda e che cuoce) e uno da temere, che neppure nominano, sebbene sia conosciuto come Ahizzàr, “Signore dei lampi e degli incendi”.
E l’aria? Da quale divinità è rappresentata l’aria?
(seguono interminabili secondi di silenzio) Eeeh? (meno male, eravamo quasi preoccupati…) L’aria è Atmos, divinità che si potrebbe definire ecologista, eterea e gentile, generatrice di vita, in perenne lotta contro Tànfos, “Signore dei gas malefici”, simbolo di contaminazione e degrado.
Un’ultima curiosità. Ma lei come fa a sapere tutte queste cose su Patchamama e non solo? Le ha studiate su qualche libro? O ha vissuto per un po’ in Amazzonia?
Eeeh? (non aspettavamo altro per riproporgli la domanda a un livello di decibel che i vetri del palazzo cominciano a vibrare pericolosamente) E non gridate così, sono mica sordo! Sì, ho vissuto in Amazzonia per qualche anno presso la tribù dei Patcharotti, indios dalla corporatura decisamente robusta eppure di indole assai mite, e molto devoti a Patchamama, dai quali ho avuto modo di comprendere abitudini, usi, costumi e riti. Come per esempio, il Patchamano, una forma di omaggio o reverente saluto alla Madre Terra, officiato dai grandi sacerdoti, chiamati Patchapile, dopo aver bevuto un intruglio appiccicoso di sostanze diverse mescolate disordinatamente tra loro, il famoso Patchugo.