La vita ricomincia! Lo si coglie da tanto impercettibili quanto incontrovertibili segnali. Le giornate si allungano, la natura torna a fare il suo spettacolare corso, gli uccellini tornano a sfruculiare gli zebedei alle 5 del mattino, il vicino di casa, toltasi la mascherina, sembra rientrato nel solito standard di musone pre-Covid, il nostro capo, apparsoci simpatico con lo schermo del pc, quasi umano nel suo galateo informatico (un fare buonista che neppure Fabio Fazio quando ha fatto lo zerbino… pardon, ha intervistato Macron), si è ripalesato in vivo per quel cinico e spietato essere che abbiamo sempre conosciuto e disistimato.



La vita piano piano si riappropria dell’essenza stessa del suo essere: il pasto domenicale dalla mamma di lei (per digerire il pranzo, occorre tassativamente evitare il sostantivo “suocera”, duro da mandar giù come la cotenna dello speck), le paghette arretrate dei figli (praticamente, una sorta di tassa Irpef pre-730), i centri commerciali (con le code), le gitarelle fuori porta (valida alternativa al divano festivo). Tutto il resto va da sé. Il distanziamento sociale? Uno sfumato ricordo di un periodo di tregua ormai finito, se non già dimenticato: siamo di nuovo in guerra, amici! Amici? Amici un corno, semmai… lettori commilitoni!



Zitto zitto, quatto quatto, ha fatto capolino anche il calcio. Nel weekend, due partite non memorabili, due sgambate apparentemente di inizio stagione, che pure hanno decretato le finaliste della Coppa Italia (domani sera, ricordatevi). Ma che calcio è, e soprattutto… che calcio sarà? Con una stagione che durerà 14 mesi, che decreterà due vincitori per ogni competizione. Per un po’ si giocheranno i recuperi di questa annata, poi le coppe europee, poi via ai nuovi tornei che ci porteranno dritti filati all’Europeo per nazioni. Praticamente, un calcio alla Cepu, a recuperare il tempo perduto!



Che calcio sarà, dicevamo… Chi lo sa, è forse la risposta più appropriata: perché se solo un granello di sabbia dovesse riuscire a farsi largo nel delicatissimo meccanismo pallonaro, sarebbe la fine. Esiste una via di fuga, un piano B, un’alternativa?

Non esattamente, non proprio, non nel dettaglio. Eppure l’italico genio, appalesatosi in questi tempi faticosamente attuali sotto le non troppo mentite spoglie di Gabriele Gravina, attuale presidente della Federcalcio, ancora una volta ha mostrato la forza di una tradizione multisecolare, da Romolo a Remo, da Dante a Leonardo da Vinci, da Scipione a Garibaldi, da Camillo Benso conte di Cavour a Beppe Grillo, che Conte alla mano, sta cercando di portare il paese fuori dalle secche (ma detto tra noi, non siamo certi che ci riesca).

Ma non disperdiamo le nostre energie e dunque: cosa ha pensato la fertile mente di Gabriele Gravina? Che il nostro calcio sarà salvato da un algoritmo! Segnatamente da quello che la scienza matematica chiama già “l’algoritmo di Gravina” e che graficamente può essere rappresentato nella seguente formula:

Pt(x) + [(mpc t(x)ct(z-x)) + (mpf t(x) * ft(z-x)].

Dove, secondo i decrittografi di Repubblica, “… P sta per punti, t(x) è l’ultimo turno di campionato con classifica valida. In sostanza, Pt(x) indica i punti realmente conquistati sul campo nelle partite giocate fino alla sospensione. Insomma, la classifica reale. A questo valore, bisogna aggiungere un dato virtuale. Mentre mpc è la media punti in casa riferita a t(x), cioè al totale delle partite effettivamente giocate in casa sul proprio campo al momento della interruzione; c indica le partite in casa, z è il totale delle partite interne nella stagione (19) e x indica quelle già giocate”. Lo stesso ragionamento – con annesse formule t(x), z (totale partite esterne) e x (partite in trasferta già disputate) – vale per la parte dell’algoritmo espressa da mpf (media punti fuori casa) e f (partite fuori casa). Tutto chiaro?

Forse a non essere del tutto chiaro è il fatto che nelle animate diatribe interne alla Federcalcio sono girati numerosi algoritmi. A lanciarne uno, a mo’ di sasso, è stato il patron della Lazio, Claudio Lotito; il suo procedimento matematico, denominato “ABC”, si è posto come una credibile alternativa a quello di Gravina, volendo essere apprezzato soprattutto per il suo calcolo basico, persino elementare, perciò comprensibile a tutti. In realtà, ABC è l’acronimo di “Algoritmo Bianco Celeste”: a illustrarlo è stato il direttore sportivo Igli Tare, in ghego stretto (una variante della lingua albanese parlata in loco e nei paesi della ex-Jugoslavia). Nessuno ci ha capito un’acca; senonché a vincere lo scudetto sarebbe stata, sempre e in ogni caso, la squadra allenata da Simone Inzaghi.

Rivolta generale di tutti gli altri club, con la Juve lancia in resta. La discussione che ne è seguita, infuocata come solo i presidenti di Serie A sanno accenderla, si è allargata ai dirigenti di squadre delle serie minori, in un tripudio di algoritmi ai confini dell’assurdo. C’è chi, per esempio, ha chiesto di assegnare lo scudetto (con relative promozioni e retrocessioni) calcolando il numero di rimesse laterali effettuate in avanti (espresso con la formula NRLEIV) nel corso di ogni partita moltiplicato per il numero di scarpe alla terza dei terzini (NSA3T) diviso la radice quadrata della distanza media verticale espressa in metri raggiunta dai rinvii a campanile (DMViMRaC).

Alla fine di una lunga giornata di lavoro, passata tra inconcludenze algebriche e strampalati postulati, Gravina ha troncato la discussione intimando: “Basta, ecchec..z!  Qui decido io! Deve vedere la luce, l’algoritmo!”.

A questa perentoria affermazione, il presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, è prontamente insorto, chiedendo che fosse messa agli atti la sua ferma e totale contrarietà: “Caro Gravina, il tuo metodo dell’alluce valgoritmo – ha tuonato – rischia di deformare la classifica finale! E sarebbero dolori!”.