Erano bei tempi quando si poteva cantare “… la mia casa era sul porto, i miei sogni in riva al mare…” (Sulla rotta di Cristoforo Colombo, Lucio Dalla). Adesso, cari lettoràstri (amici lettori dei ComicAstri) si vive di disillusione, di parole dette senza sapienza, mentre necessiteremmo “di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue”. Il virgolettato non è nostro, altrimenti staremmo già volando a Oslo per il Nobel. Sia lode ad Alda Merini, alla quale siamo sfacciatamente ricorsi, e al nostro amico Zingarelli (quel vocabolario che sa tante cose, il perché lo sapete anche voi), con le mani nei capelli alla sola idea che un prestito di tale portata possa essere finito su queste nostre strampalate considerazioni settimanali.
Che le parole siano pietre l’aveva già detto Carlo Levi (lo scrittore che aveva fermato Cristo ad Eboli), ma… lo sono ancora? Seguiteci e ve ne forniremo qualche ragione. A favore o contro, giudicherete voi!
Parole nuove starebbe mettendo in campo la Commissione europea, che avrebbe voglia di mettersi in prima fila nella lotta contro lo spreco alimentare: una piaga che nel Vecchio continente porta ogni anno a produrre ben 57 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari. Ecco, allora, balenare l’idea di introdurre una serie di informazioni inedite da apporre sulle etichette, così da allungare la vita degli alimenti. Per arrivare al dunque, la classica dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro”, che oramai tutti i consumatori hanno imparato a memoria, verrebbe accompagnata da nuove didascalie, come ad esempio “Spesso buono oltre…”, al fine di consentire “una migliore comprensione della data di scadenza”, così da influenzare “il processo decisionale dei consumatori in merito all’opportunità di consumare o eliminare un alimento”.
Nei piani di Bruxelles questa nuova avvertenza è comunque solo un primo step contro lo spreco di cibo. Gli esperti europei, infatti, sono già al lavoro per preparare una sorta di “classe alimentare” delle scadenze dei cibi, assai simile alle categorie della “classe energetica” degli edifici, quella che permette di riconoscere il fabbisogno di energia necessario per il riscaldamento, la produzione di acqua calda, l’illuminazione e di conseguenza i relativi consumi e costi. E di quali classi alimentari si tratta, è presto detto, visto che siamo già in grado di anticiparvele.
“Ciò che non ammazza, ingrassa”. È la classe immediatamente successiva al “Spesso buono oltre”. Nei desiderata dei parrucconi di Bruxelles viene proposta come una drastica sorta di avvertimento per coloro che vivono un’eterna incertezza, che li porta a stanziare tra la pattumiera dell’umido e il piatto posto sulla tavola imbandita, a favore di quest’ultimo.
“O al gatto o alla suocera”. Un’etichetta frutto di un compromesso (storico?) per quegli alimenti da “zona arancione”, la cui qualità non è ancora del tutto perduta. L’opzione felino/parente stretto ingombrante fa contenti tanto gli animalisti quanto gli avvocati divorzisti, spesso oberati di lavoro a cagione di situazioni familiari che i nostri lettori conoscono bene al par nostro.
“Qui si parrà la vostra nobilitate”. I palati fini potranno anche storcere il naso, ma coloro che hanno la bocca buona e che mangiano di tutto, senza troppe smorfie o moine ne usciranno vincitori. A loro è dedicata questa dicitura, dal riferimento dantesco: il cibo ha quasi perso del tutto la sua fragranza, ma è ancora edibile e/o riciclabile in ragù, soufflé, pasticci di verdura e quant’altro. Il vino in tetrapak è il degno ospite di un desco così allestito. Chi ha orecchie per intendere, ha pure stomaco per digerire. Prosit!
“Darlo al cane? Siete matti?”. È il senso di colpa a generare l’idea per questa etichetta, così da rendere ancora appetibile ciò che non lo è più. Eppure, stando a un sondaggio del periodico “Can per focaccia”, che si occupa di alimentazione del miglior amico dell’uomo, 7 europei su 10 sarebbero disposti a mangiare un petto di pollo al quinto giorno di frigo se cucinato alla griglia con una montagna di patatine e ketchup. Confessatelo: avete già l’acquolina in bocca!
“Usare come laterizio oltre”. È la madre di tutte le etichette, il jolly che la Commissione Ue intende introdurre per sconfiggere a titolo definitivo lo spreco alimentare. L’alimento che superi qualsiasi tipo di scadenza, la cui consistenza e durezza lo renda del tutto inappetibile, ha ancora una chance, che non sia l’eutanasia da spazzatura: il riciclo come laterizio! A seconda della forma della confezione, questi alimenti possono essere convertiti in naturali materiali da costruzione: mattoni, pignatte, tavelle, volterrane, coppi, tegole, addirittura clinker. A tutto vantaggio del settore edilizio, prefigurando un abbattimento dei costi di fornitura e ampliando le possibilità di approvvigionamento dei materiali. Oltre tutto, tutti naturali e riciclabili!
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