In Italia, si sa, un incarico, un mandato, un Comitato, un Commissario straordinario non si negano a nessuno. Non appena sorge un problema, subito lo si affida a una Commissione, che a sua volta crea una Cabina di regia, il cui primo atto è quello di nominare un Comitato ristretto, al quale è affidato il compito precipuo di costituire una Task force dedicata, con conseguente e annessa Unità di crisi operativa. Risultato: con una siffatta filiera snella ed efficiente il problema viene studiato, analizzato, vivisezionato in tutte le sue mille sfaccettature, finché… Finché niente! Tutto come prima, tale e quale, precipitevolissimevolmente irrisolto. Capito perché il governo Conte è veloce come una pellicola da cineforum (anni ’70) e solerte come un bradipo intontito dai sonniferi nel tradurre in provvedimenti concreti i decreti che approva?



Del resto, in ambito parlamentare, a sussidio delle Commissioni bicamerali e dei Comitati di indirizzo (si chiameranno così perché i loro componenti conoscono a menadito tutti i Cap, i Codici di avviamento postale, dei Comuni italiani?), la nostra Carta costituzionale prevede: commissioni in sede referente, commissioni in sede deliberante, commissioni in sede redigente, commissioni in sede consultiva. Sicché, un civile ma politico suggerimento ci sgorga dal cuore: al suddetto governo Conte, vista la sua ormai consolidata abitudine a tergiversare, indugiare, tentennare, senza mai arrivare a fare, forse servirebbe più che mai una commissione in sede… propulsiva! Detto prosaicamente: qualcuno che metta un po’ di pepe al (beep!) di ministri, sottosegretari e parlamentari.



Ne è esempio lampante l’emergenza Covid. L’arrivo dell’epidemia ha visto il solito proliferare di Comitati, task force e Unità di crisi, che governo e Regioni non hanno esitato a esibire, talvolta in conflitto tra loro. Si sono contati più di 1.500 incarichi. Che poi… questi autorevoli, esimi e plurimi consessi di scienziati, esperti e luminari, cosa sono riusciti a decidere? A parte una giungla di oltre 300 atti e un campionario di autocertificazioni tra l’onirico e il demenziale (che a metterle in fila si va da Bolzano fino a Ragusa), la montagna neppure ha partorito il tanto atteso topolino; ci si è dovuti accontentare di uno scontato quanto elementare vademecum anti-virus, arricchito da una prosopopea aggiornata all’inusitata situazione, sintetizzabile in poche norme: portare la mascherina, mantenere il distanziamento, detergersi frequentemente le mani. Tutto qui? Avessimo posto il quesito alle nostre nonne, una saggezza che spesso non contemplava neppure la licenza elementare, avrebbero risposto pressoché allo stesso modo. D’altronde, cosa si sarebbe potuto fare di diverso e di scientificamente probante davanti a una sindrome influenzale con infezione respiratoria, se non coprirsi bocca e naso, evitare gli assembramenti e curare l’igiene personale?



E che dire di quel capolavoro della task force dell’Istruzione, un pool di professori capace in breve tempo di portare a termine ben due imprese titaniche: varare le regole dell’esame di maturità che non prevede bocciati e stabilire delle linee guide per la riapertura delle scuole a settembre che non prevedono né linee né guida. Un’unità operativa che non passerà inosservata: per catturare quel poco di attenzione che giustifichi presso l’opinione pubblica la sua stessa esistenza ha deciso che presidi e insegnanti da settembre dovranno impegnarsi a far rispettare la distanza di un metro tra una “rima buccale” e l’altra. Se qualcuno tra voi incuriositi lettori sta pensando alla semantica e/o alla didattica, beh… è sonoramente bocciato!

Ma a un’ipotetico esame di riparazione possiamo chiedere l’intervento del nostro amico Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate qua e là in giro per gli studi odontoiatrici del mondo: “La rima buccale non è, come qualcuno potrebbe stoltamente intendere, un componimento poetico vergato da un letterato nato nella città croata di Buccari; trattasi bensì della porzione anteriore del canale alimentare e, nell’uomo, insieme con le fosse nasali, l’inizio delle vie respiratorie. È situata nella testa, dove è collocato, nella quasi totalità degli esseri umani, anche il cervello. Ma voi due non fatevi soverchie illusioni di appartenere a questo gruppo. Comunque la rima buccale (rima oris) è l’apertura delimitata dalle labbra (labia oris), a forma di fessura trasversale tra le due guance (buccae)”. Grazie, Zinga, per gli sperticati complimenti e per la lezione di anatomia, ma andiamo oltre, poiché il finale di questo pezzo incombe.

E se il burocratese, come pare, incombe, allora perché non fissare la distanza di un metro tra un rilievo dello splancnocranio e del volto di forma approssimativamente piramidale e l’altro? In fondo, il naso (di questo organo stiamo parlando) è una protuberanza che garantisce pure qualche centimetro in più di sicurezza…

Ma ora basta prenderci per il naso e torniamo ad annusare la vasta e profumata serra delle Commissioni scuola. Una di queste ha tenuto banco (termine quanto mai opportuno) per diverse settimane al semplice scopo di individuare il giorno preciso per la riapertura delle scuole (a proposito, sarà il 14 settembre). Sarà servito davvero costituire un pool di cervelloni per decidere se sia meglio tornare in classe di lunedì, di mercoledì e in quale settimana?

Forse sì. Ci sono altissime possibilità, stando a studi epidemiologici top secret che hanno elaborato un modello matematico top secret, che il coronavirus marini (dal vetusto  verbo marinare, che significa “assentarsi”) il primo giorno di scuola. Chissà se gli studenti si adegueranno…