Amici e lettori del martedì, e di tutti gli altri giorni, come state? Avete apprezzato le notizie del fine settimana? Siete pronti a rituffarvi nell’iperspazio?
Dal 26 aprile torniamo in zona gialla. Riaprono scuole di ogni ordine e grado, avanti con le attività all’aperto. Dal primo maggio in zona gialla stadi aperti per mille persone alla volta; dal 15 maggio via alle piscine all’aperto: magari verranno disertate per la temperatura non ancora accettabile; oppure si istituiranno gare di resistenza all’acqua fredda; o forse ancora i gestori, sulla scia dell’entusiasmo, scalderanno l’acqua a livelli termali. Nel frattempo, giugno ci riporterà in palestra e luglio in fiera. Chi vivrà, vedrà. E soprattutto cercherà di continuare a rispettare le regole, nella speranza (più che nel ministro, nella Provvidenza) di tornare a pieno regime in tempi ragionevoli.
Una sequenza di belle notizie che non succedeva da un sacco di tempo. Ci sarebbe di che allietarsene, per ritrovare spensieratezza: e allora, spensieriamoci! Anche perché le notizie spensierate, sulle quali esercitare un comicastrico volo pindarico di certo non mancano.
Buon Ramadan a tutti! Si comincia con la radio. Oggi i cultori della modulazione di frequenza la conoscono come Kay Rush: il suo Kay is in the Air è un longevo programma, in onda dal 2013 dai microfoni di Radio Montecarlo, che si occupa di attualità internazionale, tendenze e tecnologia. È proprio il caso di dirlo: Kay, sin da giovane, ha trovato la sua America in Italia. Pensate che già nel ’91 conduceva accanto al grandissimo Raimondo Vianello il settimanale sportivo Pressing (tutte le domeniche su Italia1 alle 22.30, per la precisione); solo che allora era conosciuta come Kay Sandvick, e vai a capire il cambio di cognome, che in ogni caso possiamo ascrivere alla sfera dei fatti suoi. Ma veniamo al dunque: lo scorso martedì la nostra conduttrice ha augurato “buon ramadan” a tutti quello che lo praticano. Beh… e allora? C’è qualcosa di male in tutto ciò?
Assolutamente no! Semmai, dal momento che la legge del politically (ed in questo caso, religiously) correct, per quanto non scritta, è praticata forse e più dello stesso ramadan, dobbiamo augurarci che questa buona prassi venga replicata anche per: Quaresima (il digiuno cristiano, lo diciamo per la signora Rush, che magari non lo sa), Yom Kippur (quello ebraico), Upvas (l’equivalente induista), Uposatha (l’omologo buddista), prova costume (non possiamo certo tagliare fuori dal consesso i non credenti, gli agnostici e gli atei). E ci scusiamo con i nostri lettori e con Kay Rush se ci siamo dimenticati qualcuno.
Alitalia è già Ita? Se c’è una cosa che la nostra compagnia di bandiera Alitalia in questi decenni ha saputo fare al meglio, è stato senza dubbio far volare (e atterrare) con grande regolarità i soldi dei contribuenti nelle sue casse societarie. Lo ha ammesso anche il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi: “Mi spiace molto che non si chiami più Alitalia, perché tutti noi che abbiamo viaggiato tantissime volte con quella compagnia la consideriamo come una cosa di famiglia. Una cosa un po’ costosa, ma di famiglia”. Così dicendo ha svelato il motivo per cui Alitalia cambierà denominazione, anche se sul nuovo marchio c’è un braccio di ferro con la Commissione Ue. Il nuovo logo dovrebbe essere ITA. Tranquilli, non è un suffisso di participio da applicarsi a qualche verbo a caso (scegliamo noi? Vediamo… fallIta, svanIta, perIta… siamo esagerIti?), ma semplicemente l’acronimo che sta per Italia Trasporto Aereo, a cui dovremo abituarci.
Viene già da immaginarseli, i futuri passeggeri, che all’arrivo in aeroporto trafelano ansia da tutti i trolley…
“Scusi, dov’è il check in di Alitalia?”.
“E’ già Ita”.
“E’ già ita?”.
“Sì, glielo confermo: è Ita”
“Ma come è già ita? Non si può ire così in anticipo! Il volo è previsto tra due ore…”.
Il decreto DeZan. Potranno mai le cicliste ed i ciclisti, di taglia diversa, correre insieme in un Giro d’Italia finalmente dai colori arcobaleno? Riuscirà mai un corridore che ha fatto coming out, scavallare lo Stelvio, il Mortirolo (e buttiamoci dentro anche le Tre Cime di Lavaredo, perché i rapporti a tre, e non ci riferiamo solo al cambio, tirano di brutto?) osare pure con il get on (in salita, al Gran premio della montagna) e stupire tutti con il get off (in discesa, per fare la selezione che porta al traguardo)? Avrà, il vincitor* di tappa, la possibilità di ricevere il giusto riconoscimento al traguardo, abbracciato dall’affetto della folla urlante, ma soprattutto dalla miss, rigorosamente scelta da una selezione LGBTQ? Otterrà l’ambito privilegio, durante l’intervista di rito, di pronunciare la fatica frase: “Ciao, genitore due, sono contento di essere arrivato uno!”. Domande che avranno una risposta con l’approvazione del decreto De Zan!
Come come come? Dite che il decreto si chiama Zan e basta? Pazienza, però l’idea del Giro d’Italia gender non era malaccio…
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