Dopo ben sette inutili round, il negoziato sul bilancio Ue tra Consiglio e Parlamento europeo sembra essere entrato in una fase di stallo: per l’Italia non è certo una buona notizia. È noto a tutti, infatti, che il governo Conte si stia giocando tutte le sue fiches di restare in sella proprio sui fondi – parliamo di ben 209 miliardi, mica bruscolini – che l’Europa è disposta a concederci attraverso il Recovery fund, il fondo per la ripresa. Peccato che, allontanandosi sempre più l’intesa sul bilancio Ue, si rischia di farlo slittare nel tempo.
Visto che anche sui 36 miliardi del Mes l’intesa tra Pd e M5s resta molto lontana, a Roma sono tutti allarmati. Il premier Conte, che sul Recovery fund ci contava eccome, ora ha paura che presto non conterà più nulla. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, gira ormai per le vie della capitale con il cellulare sempre e costantemente in mano, ma in realtà usando una sola app: la calcolatrice. Persino al supermercato ogni due per tre (no, non parliamo delle offerte sugli scaffali) è stato visto fermarsi di botto e digitare sul display con aria tra l’affranto e l’angosciato: il tentativo di far quadrare il cerchio dei conti pubblici partendo da -209 (miliardi, mica noccioline in offerta) lo tormenta negli ambienti più impensabili. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, perde ogni giorno di più la speranza di poter percepire quegli agognati finanziamenti utili a sistemare la sanità italiana. E anche chi non ricopre incarichi di governo, come l’ex ministro Danilo Toninelli, mostra una profonda inquietudine: “Senza quella miliardata chi e come potrà prendersi cura della manutenzione del tunnel del Brennero?”.
L’unico ministro che mostra una calma olimpica è il titolare degli Esteri, l’immancabile Luigi Di Maio, come al solito “al lavoro 24 ore su 24 per trovare una soluzione che gli italiani aspettano da almeno 30 anni”. Ai più stretti collaboratori alla Farnesina Giggino ha assicurato alcune soluzioni già belle e pronte. “Essendo già stati in grado di tagliare 315 parlamentari, non deve certo spaventarci un taglio di 209 miliardi al nostro bilancio pubblico. È logico che dobbiamo trovare nuovi aiuti e abbiamo bisogno di comprarli all’estero, dai nostri Paesi amici della sponda sud del Mediterraneo. E se potremo comprare da loro con contratti a prezzo di mercato sarà grazie al fatto che potremo avere dai governi dove andremo a comprare anche la possibilità di esportare i soldi che acquisteremo”. Chiaro, no? Ma non è finita qui. “Io voglio dire – ha proseguito con il classico tono da imbonitore – che non solo non è il momento delle polemiche, ma senza gli acquisti dall’estero sarà impossibile fronteggiare il fabbisogno che arriverà. Io ringrazio già ora tutti i governi che ci aiuteranno, non lo dimenticheremo. Li terremo sempre nel nostro cuore e li terremo bene a mente. Perché sono i Paesi che non solo ci manderanno aiuti, ma che ci permetteranno di esportare quello che acquistiamo con contratti a prezzo di mercato”. Non c’è che dire, un discorso molto esplicito nella sua indeterminatezza…
Ma tant’è. La cosa importante è che il governo sia in grado di far fronte alla vicenda con appropriate soluzioni. Tre delle quali siamo in grado di anticipare, in attesa che il ministro (Giggino di cui sopra, appunto) le sottoponga al governo nel prossimo Consiglio dei ministri, così da far fronte a un eventuale rinvio del Recovery Fund.
La Nuova Via della Feta. Secondo Di Maio, è un’idea geniale. In sintesi, l’Italia si impegnerà a comprare dalla Grecia 209 miliardi di fette di feta (il classico formaggio ellenico) al prezzo di 1 euro cadauna; la fornitura sarà successivamente rivenduta ai mercati al prezzo di 2 euro. I mercati non vanno intesi nella classica accezione di Borse: in questo caso si tratta di… mercati… quelli… delle bancarelle tradizionalmente organizzate in ogni angolo dei cinque continenti. Il ricavato dell’operazione andrà, per metà, a ripagare la Grecia e per l’altra metà a sostituire i 209 miliardi mancanti del Recovery Fund. La feta verrà riversata persino sui mercati cinesi: Di Maio conta sul fatto che la transazione casearia venga inserita di sfroso negli accordi firmati l’anno scorso nell’ambito della Nuova Via della Seta. L’amico Ping Ping (come Giggino chiama il leader cinese Xi Jinping) non si accorgerà nemmeno del piccolo refuso… “Ma non dite niente alla ministra dell’Agricoltura, Bellanova – ha ammonito Di Maio – altrimenti mi ruba l’idea”.
Alternativa concreta con Creta. Il secondo jolly in mano a Di Maio per ora ha solo un nome in codice: “Alternativa con Creta”. Lo ha confidato solo al suo super staff personale: “Ragazzi, se va male con la Grecia, ho un’alternativa concreta con Creta: tanta roba, altro che 209 miliardi!”. “In concreto?” gli hanno chiesto. “No, non avete capito bene: non con creto, ma con Creta. Qui non siamo cretini, qui si pensa in grande! Mi raccomando, acqua in bocca… Se lo viene a sapere il ministro delle Attività produttive, Patuanelli, mi ruba l’idea”.
Molta malta e molto malto a Malta. La terza genialata partorita da Di Maio è una sfida affascinante, la diplomazia è già al lavoro con un piano preciso: irrobustire la sua presenza in Europa; rinforzare i patti solidali con tutti gli altri Stati membri dell’Unione; far uscire il paese da un certo qual isolamento (che essendo un’isola, è davvero un’impresa da far tremare i polsi); inebriare i suoi abitanti con allettanti prospettive continentali. Stiamo parlando di Malta, il più piccolo Stato della Ue. Per le ragioni suddette, l’idea di Di Maio è avvincente: vendere molta malta e malto a Malta. Si tratta di piazzare quasi un milione di tonnellate di malta (i conti son presto fatti: costa 0,108 euro al chilogrammoi) per coprire la metà dei 209 miliardi. L’altra metà da ricavarsi con la vendita di malto (prezzo al chilogrammo: 3 euro circa). “Ma non ditelo alla Merkel, soprattutto del malto, che con tutta la birra che hanno mi fotte l’idea!”.