Quando ho chiesto in libreria l’ultimo romanzo di Alver Metalli, La vecchia ferrovia inglese, mi hanno detto che l’avrei trovato nel reparto della narrativa per ragazzi. Ed effettivamente Metalli aveva già scritto delle bellissime storie che possono essere lette con gusto anche da adolescenti. Esse, però, con altro e più motivato gusto, riescono ad appassionare anche gli adulti. Così è di questa storia ambientata nella periferia di Montevideo. Mi è quindi piaciuto che l’editore, in quarta di copertina, abbia scritto che questo libro è “consigliato dai 13 ai 99 anni”.
Il protagonista è un ragazzino, José Valera, che vive in uno di quei caseggiati brutti, anonimi, vicini a orti malmessi e a strade polverose, che caratterizzano tutte le cinture periferiche delle megalopoli dei paesi poveri. Il suo regno è un’ampia macchia di cespugli che costeggia la ferrovia di cui al titolo e che è a sua volta fiancheggiata da un fossato. Lì José passa tutti i pomeriggi e ogni altro momento libero dalla scuola a cacciare. Conosce a menadito ogni specie di uccello che popola la macchia e i pesci che pullulano nel fossato. Munito di una fionda caricata a pallini di piombo è in grado di cacciare ogni tipo di volatile.
Ma un giorno… Eh sì, come c’era da immaginarsi fin dalle prime pagine. Un giorno succede l’imprevedibile: il giovane cacciatore, che preferisce sopra ogni cosa la solitudine del fossato, pur non disdegnando le amicizie di scuola e le partite a calcio, scorge due occhietti gialli che emergono sopra l’acqua salmastra. È un caimano. Sembrerebbe impossibile che un simile animale sia giunto fin da quelle parti. Eppure è proprio inconfutabilmente così. A questo punto comprendiamo che la stessa stranezza della presenza di un animale dove non dovrebbe esserci nasconde, nelle mire dell’autore, la rappresentazione di qualcosa di più profondo che non una semplice avventura adolescenziale. E il lettore comincia a chiedersi cosa sia veramente il caimano.
Di sicuro attraverso di lui passerà un cambiamento radicale nella vita di José ed in questo senso l’opera di Metalli si inscrive nel grande filone dei “romanzi di formazione”, anche se mai perdendo di vista la leggerezza narrativa e la capacità di avvincere; nessun cedimento a riflessioni più o meno morali o filosofiche: è dalla pura storia che verremo a sapere come il caimano segnerà la vita di José. Il quale ne è attratto in modo quasi ossessivo. Compera libri sulla storia dei rettili, si informa sulle loro abitudini alimentari, cerca di farlo uscire dall’acqua con gli stratagemmi più inventivi. Come se dal chiarimento del suo rapporto con il caimano dipendesse la scoperta di una parte decisiva di sé, un territorio interiore prima mai conosciuto.
Lentamente, con tocchi all’inizio impercettibili, l’autore comincia a dare delle connotazioni di inquietudine alla presenza del caimano. Lo strano animale appare anche in veste minacciosa, può fare e di fatto fa del male a José, lo mette in ansia, gli fa paura. Il rapporto che prima era di curioso interesse diventa un duello. Ma non è affatto il duello tra l’eroe buono, il cavaliere senza macchia a senza paura, e l’incarnazione del male. Sarebbe troppo semplice al limite della banalità. È, ancora una volta, un duello interiore; quello che avviene quando si capisce che l’inesplorato territorio appena scoperto non è maneggiabile come i giocattoli di quando si era bambini; ha delle esigenze, ha una sua dinamica che non possiamo controllare e che può ferire; tanto che non si vorrebbe mai averlo scoperto, quel misterioso territorio e, quindi, si desidera uccidere il caimano. E il finale – che non vi racconto – apre una nuova prospettiva, illumina una faccia inattesa di quello strano rettile che un giorno è misteriosamente comparso nella vita di un ragazzino di nome José.