Vittorio Sgarbi, in una intervista a Il Giornale, ha parlato della sua comparsa nel film Lei mi parla ancora di Pupi Avati, uscito nel 2021. I protagonisti della pellicola sono i suoi genitori, Giuseppe Sgarbi e Rina Cavallini. Essa è basata infatti su un romanzo scritto dall’autore nel 2016, quando aveva 95 anni e la moglie era già morta. È per questo motivo che, oltre a recitare una piccola parte, ha anche seguito con attenzione le riprese.
“Ho precisato due cose. La prima: non poteva mancare il ponte in chiatte fra Ro Ferrarese e Polesella, quello che, nel film, i miei attraversano da giovani, in bicicletta. La seconda riguarda me: sarei apparso solo durante l’acquisto del quadro di Guercino, altrimenti avrei esondato lo spazio. Io gli avevo proposto di eliminarmi del tutto e di farmi vedere solo in televisione, dai miei, mentre urlo negli anni ’90”, ha raccontato il critico d’arte.
Sgarbi: “È difficile essere padre, mi sento ancora figlio”. Il rapporto
Vittorio Sgarbi, oltre a parlare di Lei mi parla ancora, ha rivelato anche alcuni dettagli sul rapporto coi genitori. “Prima ero in conflitto, poi l’ho scoperto a 93 anni. Mia madre mi mandò in collegio dai Salesiani e io leggevo di nascosto. A un certo punto chiamarono i miei genitori perché avevo letto trenta pagine di Senilità, era proibito. Loro mi sconfessarono. Mio zio Bruno aveva una personalità più simile alla mia, era un secondo padre”, ha ricordato. “Appartengo a una generazione di lotta, di contestazione. Quando avevo 15 anni i miei genitori rappresentavano per me un mondo superato. Fino a chi li ho fatti diventare miei coetanei, complici”.
Adesso anche lui stesso si ritrova ad essere padre. “È più difficile che essere figlio. Sono un nichilista tale che figli non avrei fatti. Io mi sento figlio, non padre. Perché padre è facile diventarlo, ma non esserlo: ci vuole vocazione. Il figlio è una realtà passiva, invece essere padre richiede una volontà di investire sui figli”, ha concluso.