Il crescente numero di aggressioni, risse, stupri, violenze sessuali, ferimenti, omicidi e pluriomicidi tra giovani e meno giovani, bande, coppie sposate o divorziate, sta suscitando una quantità di articoli e commenti di giornalisti, sociologi e politici.

C’è chi attribuisce la responsabilità ad un eccesso di immigrati clandestini, chi al degrado psicosociale, chi ai genitori non più capaci di educare i figli.



Per i delitti commessi di recente dai più giovani, non ricordo di aver letto commenti sulla responsabilità di film e videogiochi violenti; solo fiumi di osservazioni, anche di illustri psicologi, che si fermano sul limite della questione educativa in generale, parlando di figli non ascoltati o abbandonati a sé stessi.



Non si parla invece del tema della violenza che viene assunta come una droga a dosi quotidiane tramite videogiochi, video, film e canzoni, forse perché ai tempi del pensiero woke è un tema considerato vetusto.

Credo anche che questo avvenga perché una ben orchestrata campagna di pubbliche relazioni è riuscita a popolare recentemente il mondo del web e dei giornali affermando che “uno studio dell’università della Florida” (senza alcuna altra specificazione) sostiene che non è più provata la correlazione tra incremento della violenza e videogiochi o film violenti”.

Quando lo studio viene citato notiamo che si tratta di uno studio coreano, Paese gran produttore di film e videogiochi violenti, in cui si dimostra che il testosterone non aumenta dopo la visione di questo tipo di audiovisivi. Un nesso palesemente improponibile perché non significa niente.



Il Giorno ci informa che il giovane 17enne di Paderno Dugnano ha confessato di aver colpito alla gola padre, madre e fratellino per farli morire subito così che non potessero gridare e dare l’allarme. Sempre lo stesso giornale ha riferito che la procuratrice Di Taranto ha puntato l’attenzione sulla solitudine dei giovani d’oggi. Se è per questo anche Leopardi si sentiva molto solo, senza mai mostrare però nemmeno un pensiero omicida verso la famiglia. Verrebbe da chiedere alla spettabile procuratrice perché non si è domandata da dove Riccardo abbia appreso la tecnica per sgozzare rapidamente la vittima con un coltello.

Certo non può averlo fatto a scuola né a catechismo. Più probabile che sia avvenuto giocando a Grand Theft Auto, The Punisher, Doom, Manhunt, Postal, Madworld e cento altri. Lasciati soli (e certamente questo è un tema, dato che i genitori lavorano entrambi, altrimenti non riescono a mettere insieme un bilancio familiare accettabile), i ragazzi giocano con queste vere e proprie enciclopedie di torture, squartamenti, uccisioni, “piombo per tutti, in un tripudio di smembramenti, gente in fiamme estinguibili con la propria urina, e gatti con canne di fucile su per l’ano per essere usati come silenziatori” (IMDI del 25 aprile 2017).

All’inizio dell’articolo citato, risalente già al 2017, Nicolas Foresti scrive: “Sempre il solito discorso: i videogiochi sono violenti e causa di violenza. Che sia vero o meno lo lasceremo dire agli esperti, perché qua tratteremo dell’altra faccia della medaglia, partendo da quella semplicissima frase che nessuno vuol mai dire a voce alta, perché trovandosi difronte ad una schiera di ignoranti videoludici è un attimo, e si passa da videogiocatori compulsivi a psicopatici fatti e finiti: la violenza è divertente”. Sic.

In un altro articolo sul medesimo tema la rivista Rolling Stone ha scritto: “Vi renderete conto che al cinema troverete di molto, molto peggio”. Mi ha fatto venire in mente che sui canali digitali della Rai girano spesso film di questo tipo, anche alle 14 della domenica: ricordo di aver sussultato alla vista di un film giapponese in cui un killer era solito strappare il cuore alle proprie vittime ancora vive. Per non parlare dei videoclip musicali di argomento palesemente satanista e sanguinario.

Che dire poi dei testi delle canzoni dei rapper, spesso intrisi di una violenza inaudita? Ma i genitori sanno almeno cosa guardano e cosa ascoltano i figli?

È vero che li lasciano spesso soli, ma un tema forse più importante è di cosa alimentino la loro mente. Se fin da piccoli sono lasciati liberi di intossicarsi di violenza ogni giorno anche per gioco, potrebbe poi venire inevitabilmente il momento in cui non sappiano più distinguere la realtà dalla fantasia.

E infatti Moussa Sangare, rapper fallito, riferendosi alla povera Sharon Verzeni, ha detto: “L’ho uccisa senza motivo”.

PS: ecco il link dove è possibile vedere una campagna sociale dell’associazione americana Mediavise. In una parte dello schermo si vede una madre occupata a preparare il pranzo in cucina. Nell’altra parte si vede una scena nella stanza da letto, con la tipica grafica da videogioco, in cui un giovanotto ammazza una prostituta. Mentre la madre continua serena il suo lavoro, in sovrimpressione compare la scritta: “Guardate cosa i videogiochi vi portano in casa. I ragazzi lo fanno”.

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