“Perché?” Questa domanda ha occupato gli ultimi momenti di vita di Sharon Verzeni mentre Moussa Sangare, il suo assassino, la pugnalava. Lui “ha avvertito un feeling” e l’ha ammazzata. Sharon camminava con le sue cuffiette, guardando il cielo stellato di fine luglio, il cielo dei desideri. Forse l’ultimo di Sharon, indirizzato a quella volta – che fa da tetto a un mondo pieno di paure e lacrime – è stato quello di capire che cosa le stesse chiedendo la vita.



Perché? Una domanda che spesso i bambini ripetono, tappa fondamentale dello sviluppo psico-emotivo, nel tentativo di scoprire chi realmente si prende cura di loro. La ricerca di sicurezza, di un centro affettivo che possa rispondere con sincerità a quella fondamentale esigenza di senso. Al tempo stesso, un desiderio di conoscenza perché “i bambini domandano il perché, come fanno gli scienziati”, marcando come questa sia la chiave di accesso per scoprire il mondo e noi stessi.



Crescendo, sempre più raramente ci domandiamo il perché delle cose, ormai corrotti da un mondo dove tutto è stato detto; un mondo che ha eliminato le domande per inserire risposte preconfezionate, per evitare che possano sgorgare interrogativi, anche solo lontanamente. Poi accade qualcosa di imprevisto, spesso duro e violento e quella domanda si ripresenta in tutta la sua enormità. Siamo qui a chiedercelo, cara Sharon, sgomenti per una morte inspiegata e inspiegabile. La morte di una ragazza che potrebbe essere una persona molto vicino a noi oppure essere ciascuno di noi.

“Eccola, è lei – si sarà detto Sangare – perché no?”. Le ha chiesto scusa e poi l’ha ammazzata. Quel perché l’ha gridato Cristo sulla Croce (“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”), l’hanno espresso generazioni di scrittori, filosofi, teologi che si sono interrogati sul male che vive e si perpetua ogni giorno nel mondo. La mente vola a quel 28 maggio del 2006 quando Papa Benedetto XVI si recò ad Auschwitz per rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto. Un gesto fortissimo fatto da un Pontefice che con il tema del male si è confrontato senza sosta. “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia – così Papa Benedetto aprì il suo discorso – è quasi impossibile, ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”.



Le notizie che giungono dall’Ucraina o dal Medio Oriente, quelle della strage di Paderno Dugnano, trovano in quel “perché” gridato da Sharon un filo rosso che le unisce. Certo, la risposta è più grande di noi, riguarda quel mysterium iniquitatis che ci lascia sgomenti e fa vacillare la nostra debole fede, se mai una fede abbiamo. Ma in tutti i perché del mondo, nei nostri perché, c’è la grandezza e la struttura dell’uomo e della sua ragione. L’ inesausta ricerca di dare una spiegazione alle cose, volerle capire, approfondire, darne un senso. Nessuno di noi può riportare Sharon a casa da quella notte del 30 luglio scorso né lenire il dolore dei suoi cari. Qualcosa però si può fare. Ricominciare a chiedersi il perché delle cose, di tutte le cose; provare a non accontentarsi della prima risposta che ci salta in testa o di una risposta confezionata da qualcun altro per noi. Un lavoro di “ri-umanizzazione” che non potrà vincere il male ma almeno farci vivere da uomini, esseri che si chiedono perché.

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