A poche ore dall’arresto di Moussa Sangare, trentunenne italiano originario del Mali accusato dell’omicidio di Sharon Verzeni a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo, nella notte fra 29 e 30 luglio, è presto per tirare conclusioni su moventi e modalità in cui è avvenuto il fatto. Dovrebbe chiarirli il diretto interessato, reo confesso, che però sulle prime ha dichiarato agli inquirenti di aver agito secondo “un raptus improvviso”, quindi senza premeditazione. Peccato fosse uscito di casa con ben quattro coltelli in tasca, ma non è questo che ora ci interessa sottolineare.



Piuttosto, non possiamo evitare di sottolineare il comportamento che gran parte della stampa, nazionale e non, ha tenuto durante i trenta giorni intercorsi fra l’omicidio e l’arresto. Alla perenne e tumultuosa ricerca del colpevole, sulla scia dei più noti fatti di “nera” che nel passato hanno riempito le cronache agostane – generalmente povere di notizie considerate degne di nota – e così solleticando la curiosità, a volte morbosa, dell’opinione pubblica, giornalini e giornaloni hanno tenuto il fucile puntato contro la famiglia della giovane donna, tanto quella di origine quanto e ancor più quella formata insieme al compagno. L’una e l’altro uniti dalle medesime dichiarazioni di innocenza, ma anche da un affetto profondo che fa sentire Sergio Ruocco quasi come un figlio per i genitori di lei.



Così, mentre la procuratrice capo di Bergamo, Cristina Rota, portava avanti a 360 gradi le indagini, ma puntando via via su ambienti estranei a quelli frequentati dalla vittima, doveva parere ovvio ai mass media che il colpevole si trovasse nel ristrettissimo ambito delle sue conoscenze, “meglio” ancora se direttamente in casa. La presunta partecipazione di Sharon a Scientology, discussa e danarosa organizzazione famosa per l’adesione di certi personaggi in vista nel dorato mondo cinematografico, aveva poi fatto allargare il campo delle possibilità, aggiungendo un pizzico ulteriore di mistero non lontano dai miti della fantascienza.



Invece, niente di tutto questo: se le prime ipotesi verranno confermate, ad uccidere la povera ragazza è stato un “banale” fatto di cronaca, uno di quelli che – per usare le parole della procuratrice – avrebbe potuto colpire “uno di noi che passava di lì”. Il caso, insomma, oppure il destino: ciascuno scelga come vuole. Giornalini e giornaloni ne prendano finalmente atto e si facciano, magari, un esame di coscienza.

Rimane da capire come mai un individuo come l’omicida, poco stabile mentalmente e già noto alle forze dell’ordine, godesse di piena libertà, ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano, ad episodi simili di delinquenti capaci anche di uccidere, ma fuori dal carcere dopo poco tempo. Da ultimo, non ha molto senso chiedersi fino a che punto Sangare sia davvero italiano: il suo arresto si deve alla testimonianza resa da due extracomunitari.

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