A distanza di un mese e mezzo dall’omicidio di Sharon Verzeni e di un paio di settimane dal fermo – e dalla confessione – dell’italomarocchino Moussa Sangare gli inquirenti sono riusciti ad aggiungere un ulteriore dettaglio al quadro indiziario: a parlarcene è l’ex Gip bergamasco Tino Palestra sulle pagine del Corriere della Sera con un lungo ragionamento che ruota attorno al ruolo che i due ragazzini (si parla di 15/16 anni) incrociati dal killer in quella terribile nottata avrebbero potuto avere per dare una svolta alle indagini già dai momenti immediatamente successivi all’omicidio della 33enne.
Facendo un passetto indietro alla notte in cui è morta Sharon Verzeni – per poi arrivare al parare dell’ex magistrato -, prima di incontrarla il suo killer aveva raccontato agli inquirenti di aver minacciato con lo stesso coltello che avrebbe di lì a poco ucciso la 33enne di Terno d’Isola anche un paio di ragazzi che l’avevano malauguratamente incrociato; salvo decidere – per ragioni che non pare aver mai chiarito – di lasciarli andare al loro destino (fortunatamente) sani e salvi, forse solo un po’ impauriti.
Tino Palestra: “Con l’aiuto dei due ragazzini l’assassino di Sharon Verzeni si poteva individuare più rapidamente”
Una storia (quella raccontata da Sangare) che in un primo momento non aveva trovato alcun riscontro, ma che grazie alla testimonianza dello stesso assassino reo confesso è stata confermata con l’individuazione – spiega Tino Palestra – dei due ragazzini “accompagnati in caserma con i rispettivi genitori hanno dovuto ammettere – sembra, a denti strettissimi – che si era trattato di un fatto realmente accaduto”.
A denti strettissimi perché – spiega sempre l’ex magistrato – pare che siano stati proprio i genitori dei due a consigliargli, o quanto mento condividere, “il consiglio di ‘farsi i fatti propri’” dopo averne parlato in casa quella terribile notte in cui è morta Sharon Verzeni, nonostante in quei giorni non si parlasse d’altro che dell’omicidio operato “un con coltello ‘importante'” del tutto compatibile a quello narrato dai giovani malcapitati ai loro familiari; il tutto in barba alla Costituzione che “all’articolo 2 riconosce (..) l’adempimento inderogabile dei doveri di solidarietà sociale” com’è senza ombra di dubbio aiutare a “fermare un omicida e/o consentirne il riconoscimento”.
Di contro – ragiona ancora Tino Palestra – se al posto di “una pessima lezione di educazione civica e un pessimo esempio di egoismo individuale” i genitori avessero esortato i due ragazzini a parlare la loro testimonianza – pur magari “non [portando] direttamente all’assassino”, ammette l’ex Gip – forse avrebbe aiutato “gli investigatori” a finire “sulle tracce di Moussa nel giro di pochi giorni, anziché costringerli a quella sorta di disperato ‘rastrellamento finale'” e ad indagini che si sono protratte per intere settimane.