Shel Shapiro, a quasi 78 anni, ha pubblicato il suo ottavo album ”Non dipende da Dio”. Il cantante britannico è noto anche per essere stato il front-man dei Rokes dal 1963 al 1970, il gruppo ha accompagnato Rita Pavone nel suo spettacolo ”Gian Burrasca” e, successivamente, ha raggiunto il successo in Italia con più di cinque milioni di dischi venduti. Shapiro con i Rocks si contendono il titolo di principale band del beat italiano con l’Equipe 84 e I Camaleonti.

La vita dell’artista (naturalizzato italiano) è stata colma di viaggi, musica, teatro e cinema: durante la sua carriera musicale di quasi sessant’anni ha avuto l’occasione di collaborare e scrivere brani per Mina, Wess, Dori Ghezzi, Mia Martini, Ornella Vanoni e i Dik Dik. Da produttore discografico, invece, ha lanciato artisti come i Decibel. Mentre nel 2000 è tornato alla passione giovanile della recitazione partecipando in ”Nebbia in Valpadana” per poi debuttare nel musical ”Jesus Christ Superstar”. Oggi Shel Shapiro non smette di essere creativo, ha ancora messaggi da lanciare e ne ha parlato in una intervista per il giornale Controcorrente, nella quale ha svelato anche di aver ”capito tutto della vita, ma non lo dico a nessuno perché è il mio segreto”.

Shel Shapiro e i suoi 78 anni

”Ho molte cose da dire. Voglio comunicare a tutti che dentro di me c’è ancora della bella musica. E che, in genere, non c’è un limite di età alla creatività. – così l’artista ha iniziato a raccontarsi durante l’intervista – Stare fermi a volte può essere un po’ come morire, non respirare. Non vedo l’ora di salire sul palco, di fare le prove con il gruppo. Una parte integrante della mia vita, nonostante tutto”. Shapiro si è soffermato con queste ultime parole sulla situazione che tutto il mondo sta vivendo a causa della pandemia da Covid-19: ”O ci sta cambiando o stiamo cambiando noi, per adattarci. Altrimenti è una gara all’autodistruzione. Sono molto preoccupato per la stupidità di alcune persone che continuano a pensare che questa cosa sia una passeggiata”.

Lui, che ha vissuto gli anni Sessanta da ventenne,  si è anche espresso in merito ad un eventuale nuovo rinascimento che potrebbe caratterizzare la fine di questa brutta epoca: ”Come per tutti i ragazzi, i miei anni Sessanta sono stati una grande gioia, di scoperta della libertà, la sua conquista”. Nel ripercorrere la sua vita per Controcorrente, è arrivato inevitabilmente a parlare di Shel Shapiro oggi e del nuovo disco (Non dipende da Dio), un lavoro più o meno autobiografico: ”Il titolo è come la penso io, come del resto milioni di persone. Nella vita siamo noi a decidere, a determinare come siamo e che cosa ci succede. La realtà non dipende da un pensiero spirituale, dalla quotidianità. Come sono superstizioso, non sono non credente. Sento di avere davanti un punto interrogativo”.

Shapiro: “Mai sentito migrante”

Da buon britannico, nato da famiglia ebrea con origini russe e naturalizzato italiano, l’artista è un cittadino del mondo che si è spostato tanto durante la sua vita cambiando molte case: ”Chiaro che essendo figlio di ebrei provenienti dalla Russia, forse con me è continuata una specie di diaspora. Non ho mai avuto la sensazione di essere un migrante”. A Controcorrente, Shapiro ha infatti rivelato di non aver mai subito pesanti atti di razzismo sulla sua pelle, magari qualche episodio ma non in modo da farsi notare, nemmeno conflitti all’interno della sua famiglia: ”Mia mamma, Florence, tutti la chiamavamo Honey. Altro che conflitti: lei con me è stata fantastica, soprattutto nel periodo dell’adolescenza”.

E’ stata proprio la madre che  ad un certo punto ha sottoscritto delle cambiali per comprare al figlio il primo amplificatore per la chitarra. Il tutto senza dire niente al papà, con cui l’artista ha riscoperto un rapporto verso i 26 anni. Inevitabile non citare tutti i colleghi con cui ha lavorato durante la sua lunga carriera internazionale, incontri straordinari li ha definiti Shel Shapiro: dal chitarrista spagnolo Paco de Lucia al giornalista e scrittore Edmondo Berselli, fino al compositore americano Quincy Jones. Di quest’ultimo ha detto: ”Con lui lavorare è stato memorabile. Facevo il produttore e lui l’arrangiatore. Quella volta alla batteria c’era Tullio De Piscopo, avevamo il meglio in studio. A ogni cambiamento musicale chiedeva pareri agli altri. Ha sempre condiviso”.