Joseph Shen Bin è il nuovo vescovo di Shangai: è stato trasferito dalla Diocesi di Haimen dopo la nomina unilaterale da parte del Consiglio dei vescovi cinesi, che è strettamente sottomesso al Partito comunista cinese (Pcc). L’organismo, come riportato da Asianews, non è riconosciuto dalla Santa Sede, per cui quanto accaduto rappresenterebbe una violazione dell’accordo sino-vaticano del 2018 – che è stato rinnovato nell’ottobre prima del 2020 e poi del 2022 – secondo cui la scelta degli incarichi in questione dovrebbe essere condivisa dalle autorità di Pechino ma anche dal Vaticano.



Nel corso della cerimonia di insediamento, avvenuta nelle scorse ore, monsignor Shen Bin ha dichiarato che continuerà a portare avanti la tradizione di “patriottismo e amore” per la Chiesa a Shanghai. Il suo discorso ha evidenziato dei forti richiami ai dettami del Pcc. Inoltre, ha manifestato l’aderenza al principio di indipendenza e auto-amministrazione e il rispetto degli sforzi di “sinicizzazione” del cattolicesimo in Cina.



Shen Bin vescovo di Shangai: nomina unilaterale del Pcc. La reazione della Santa Sede

Il Vaticano ha confermato che la nomina di Joseph Shen Bin a vescovo di Shangai sarebbe stata unilaterale, dato che non è stata presa in sinergia con le autorità di Pechino, che avrebbero agito in autonomia violando l’accordo sino-vaticano del 2018. “La Santa Sede era stata informata pochi giorni fa della decisione delle autorità cinesi” di trasferire il vescovo e “ha appreso dai media dell’avvenuto insediamento questa mattina”. Lo ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni in una comunicazione ai giornalisti.



Non è dato sapere, tuttavia, cosa accadrà nelle prossime settimane dopo l’inaspettata mossa di Pechino. “Per il momento non ho nulla da dire riguardo alla valutazione della Santa Sede in merito”, ha aggiunto l’esponente del Vaticano in merito. La sede vescovile di Shanghai, di fatto, era tra l’altro vacante da dieci anni, in quanto l’ultimo vescovo riconosciuto, Thaddeus Ma Daqin, è agli arresti domiciliari poiché colpevole di essersi dimesso dall’Associazione Patriottica.