Il genocidio degli ebrei è certamente il crimine più noto perpetrato non solo durante la Seconda guerra mondiale, bensì nell’intero XX secolo.

Pur con l’incertezza delle cifre a disposizione, è ormai tristemente assodato che le vittime della follia razzista e antisemita del regime nazionalsocialista tedesco di Hitler si attestano a circa 6 milioni solo in quanto ebrei; se a queste si sommano le vittime in quanto omosessuali, slavi, russi, polacchi, rom e portatori di handicap, si stima una cifra in difetto di circa 11 milioni di persone uccise.



Durante la Seconda guerra mondiale la Germania nazista realizzò quell’atrocità passata alla storia con il nome di “olocausto” o anche di Shoah.

Nel 1918 la Germania uscì dalla Prima guerra mondiale sotto il peso della sconfitta militare e di una grave crisi: la nuova Repubblica di Weimar fu caratterizzata dal prevalere delle forze nazionaliste e conservatrici e ogni tentativo di democratizzare il Paese e le sue istituzioni antiquate fu reso difficile dall’inflazione, dalla difficoltà di pagare le indennità di guerra e dalla divisione dei partiti della sinistra.



Sul piano ideologico le forze reazionarie e nazionaliste rivendicavano sempre più violentemente il risveglio del popolo tedesco contro l’umiliazione della sconfitta e l’ingiustizia del Trattato di Versailles, i cui punti più rilevanti della resa furono: la sottrazione delle colonie, l’interferenza straniera nell’economia nazionale e l’occupazione della Rühr.

In questa situazione difficile sotto l’aspetto politico, sociale ed economico per la Germania, iniziò ad affacciarsi sulla scena politica Adolf Hitler. Nato in Austria nel 1889, assorbì le teorie razziste dei circoli reazionari viennesi e suoi punti di riferimento furono Karl Lueger, leader del Partito cristiano-sociale e sindaco di Vienna, e Georg von Schönerer, pangermanista. Fu in Austria che iniziò a nutrire una profonda avversione per gli ebrei, ritenuti potenza occulta minacciosa e corrosiva assimilabile al marxismo, diretta filiazione dell’ebraismo. Notevole influenza in tal senso ebbe la lettura de “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, un falso documento d’inizio 900 dove si davano per certe le fantasiose prove di un’inesistente congiura ebraica che tramava segretamente per impadronirsi del mondo.



Hitler era un reduce della Prima guerra mondiale arruolatosi come volontario, nel 1919 si iscrisse al Partito Operaio tedesco e da subito contribuì a redigerne il programma permeandolo d’ideologia razzista e antisemita. Nell’agosto 1920, il partito modificò il proprio nome in Partito Nazionalsocialista Operaio tedesco (Nsdap), venne assunto il simbolo della croce uncinata al centro di un disco bianco in campo rosso e andò militarizzandosi sempre più con la costituzione delle SA quali “reparti d’assalto”.

Ufficialmente create con compiti di servizio d’ordine per il partito, nella realtà assumevano la forma di un vero e proprio esercito politico. Erano squadre d’azione che si richiamavano al modello degli squadristi di Mussolini e presero il nome di Sturmabteilungen (SA), cioè reparti d’assalto con impronta militaristica. Il triplice grido di battaglia dei primi nazisti era “Sturm, sturm, sturm” (Assalto, assalto, assalto), per indicare tutta la carica di fanatica violenza del nascente movimento che si rivolgeva al popolo tedesco urlando: “Deutschland erwache!” (Germania risvegliati!).

A seguito di un fallito putch, il 9 dicembre 1923 Hitler venne arrestato e condannato a cinque anni, ma questa detenzione, anziché ridimensionarne il peso politico, sortì l’effetto contrario: infatti, oltre a scontare soltanto nove mesi di carcere, qui scrisse gran parte del Mein Kampf (“La mia battaglia”), che diventò il testo programmatico della folle politica razzista e militarista della Germania nazista.

La crisi mondiale del 1929, con il proprio corollario di depressione economica e forte disoccupazione, fece da catalizzatore per la crescita esponenziale del consenso del Partito Nazionalsocialista sia a livello di ceti operai e rurali, sia da parte della grande industria e dell’alta finanza.

Tra il 1931 e il 1935 Hitler prese il potere e gettò le basi per un regime totalitario con l’intera società organizzata in modo rigidamente gerarchico secondo il principio dell’autorità del capo: Stato e Partito Nazista tendevano a identificarsi.

Nel 1933 a Dachau vi fu l’istituzione del primo campo di concentramento dove vennero internati tutti quei cittadini che, per motivi politici, avversavano la dittatura nazista.

Fin dal 1933 militanti comunisti e socialdemocratici furono rinchiusi in campi di concentramento (Konzentrations-Lager, KZ) dalla disciplina durissima: lo scopo dichiarato era di sottoporli a un processo di “rieducazione” politica. Successivamente il provvedimento di repressione fu esteso anche ai criminali comuni, ai cosiddetti “asociali” (categoria nella quale inizialmente venivano ricompresi mendicanti, omosessuali e zingari) e ai “refrattari al lavoro” (i disoccupati). Con lo scoppio del conflitto mondiale e le annessioni territoriali, il sistema concentrazionario fu internazionalizzato e le strutture per la detenzione furono ampliate.

Durante gli anni di guerra la ricerca di manodopera straniera era essenziale per l’economia del Terzo Reich, quindi il regime elaborò un piano di sfruttamento economico con l’obiettivo di utilizzare come forza-lavoro i deportati.

Nella primavera del 1942 i campi di concentramento ammontavano a quindici (dei quali i principali furono Dachau, Buchenwald e Mauthausen) e la legge dello “sterminio attraverso il lavoro” sancì la trasformazione del sistema concentrazionario: da allora la deportazione aveva il compito di assicurare alla Germania le unità lavorative necessarie alla produzione. Migliaia di lavoratori deportati da ogni parte dell’Europa occupata dai nazisti visse nei campi in condizioni disumane, il loro fisico fu messo a dura prova dal freddo, dalla fame, dalle percosse e dal lavoro massacrante.

Ma negli anni Trenta non era ancora nelle intenzioni delle gerarchie naziste giungere alla violenza e all’eliminazione fisica verso la minoranza ebraica, anche se sin dall’inizio del regime vi fu una forte campagna anti-ebraica caratterizzata dal boicottaggio del commercio, dei medici e degli avvocati ebrei, la loro esclusione dai pubblici uffici e l’emarginazione dalle libere professioni.

L’antisemitismo e l’idea della conservazione della purezza razziale finirono per esercitare una forte pressione psicologica sui tedeschi, frustrati dalla crisi economica e disorientati dall’inasprimento del conflitto ideologico degli ultimi tempi.

Il regime iniziò a predisporre gli strumenti adatti a realizzare la politica razzista e antisemita, pertanto fu necessario mettere a punto un potente apparato di regime che ebbe il suo fulcro nelle famigerate “SS”(Schutzstaffeln).

Erano le squadre di protezione cui il Führer aveva affidato il compito primario di garantire la sua incolumità personale, costituivano le truppe del partito, avevano le radici nel ben noto “Gruppo d’assalto Hitler” (Stosstrupp Hitler) inizialmente agli ordini del giornalista Josef Berchtold e di un tipo assai manesco come Erhard Heiden. Ma né l’uno né l’altro avevano risposto alle aspettative del capo, il quale trovò in Heinrich Himmler la persona giusta cui affidare la responsabilità di quel corpo speciale di super nazisti che allora non contava più di 200 componenti.

Goebbels fu ministro per la propaganda del Terzo Reich e fra gli artefici della costruzione dello Stato nazionalsocialista. Così si esprimeva a proposito degli ebrei: “È vero che l’ebreo è un essere umano, ma anche la pulce è un essere vivente, per nulla gradevole… il nostro dovere verso noi stessi e verso la nostra coscienza sta nel renderla inoffensiva. Lo stesso vale per gli ebrei”.

Ma il 1938 fu per l’appunto un anno spartiacque. Infatti nel mese di agosto un decreto impose di adottare il nome supplementare di Israele o Sara per gli “appartenenti alla razza ebraica”, mentre nel mese di ottobre con un nuovo decreto venne imposta l’apposizione della lettera J (Jude) su passaporti e carte d’identità.

Il mese successivo la situazione precipitò, il diciassettenne ebreo Herschel Grünspan uccise il consigliere tedesco Ernest von Rath presso l’ambasciata tedesca di Parigi, scatenando una serie di rappresaglie in Germania da parte dei nazisti. Scoppiarono sommosse popolari nella notte tra il 9 e il 10 novembre in modo da sembrare spontanee; questa notte, passata alla storia come “la notte dei cristalli”(Kristallnacht), vide un dilagare di violenze verso gli ebrei sia come persone fisiche, sia rivolte ai loro beni e patrimoni personali.

Nei giorni seguenti Göring elencò il bilancio di queste azioni di violenza: 815 negozi distrutti, 29 grandi magazzini, 171 abitazioni, 191 sinagoghe incendiate, 36 ebrei assassinati, 36 gravemente feriti e circa 20mila arrestati. Al delitto d’un giovane sconvolto, seguirono una catena di crudeltà perpetrate con fredda determinazione in tutta la Germania per eccitare la nazione, esaltando il mito del sangue e il concetto della razza superiore.

Uno dei congiurati dell’Abwehr, il servizio di controspionaggio militare tedesco, in cui militarono fra i più autorevoli oppositori del regime nazista, disse amaramente che la mattina del 10 novembre nelle vie di Berlino si vedeva la gente “voltare la testa dall’altra parte”, passando davanti alle vetrine in frantumi e alle macerie ancora fumanti degli edifici.

Il 1°settembre 1939 la Germania attaccò la Polonia. Il piano di Hitler era quello di creare la “Grande Germania” e di portare in Europa il “nuovo ordine”: fu l’inizio della Seconda guerra mondiale.

Prima della messa in opera del mortale sistema dei campi di sterminio, Hitler vagliò altre soluzioni: dapprima pensò alla possibilità di concentrare gli ebrei in una riserva nella regione di Lublino; successivamente, dopo la conquista della Francia nel 1940, pensò alla possibilità di trasferire milioni di ebrei nel Madagascar nel quadro di una trattativa di pace che però non si realizzò mai. Ma, in seguito, quest’idea di una “riserva ebraica” fu abbandonata per quella più radicale dello sterminio da realizzare in fasi successive.

I programmi nei confronti dell’ebraismo internazionale Hitler li aveva illustrati in un discorso del 30 gennaio 1939, esprimendosi in questi termini: “L’Europa non avrà la pace se prima non si risolverà il problema ebraico. E’possibile che a proposito di questo problema si giunga a un accordo tra nazioni che altrimenti non arriverebbero facilmente a intendersi tra loro. Sul globo terrestre esistono ancora terre disponibili…O l’Europa e il mondo si piegheranno ai miei voleri e allora io concentrerò il popolo ebraico in qualche isola deserta, o tenteranno di resistermi, e allora la razza maledetta sarà votata allo sterminio”.

Conquistata la Polonia, la vastità del territorio a disposizione suscitò nelle alte gerarchie del regime l’ambiziosa idea di risolvere la “questione ebraica” rendendo il territorio del Terzo Reich “judenfrei”, privo di ebrei. Il progetto prevedeva il trasferimento degli ebrei che si trovavano nei territori sottoposti al regime nazista in una “riserva” nella regione di Lublino, dove sarebbero stati utilizzati in lavori di colonizzazione sotto la sorveglianza delle SS.

Nella regione polacca iniziarono ad arrivare convogli con ebrei stipati in carri-merce senza servizi igienici, privi di acqua e di cibo, i quali venivano concentrati in ondate successive in campi di lavoro. Qui i deportati soffrivano indicibilmente per il distacco dai familiari, le torture e i maltrattamenti, ma anche per le condizioni di vita, dove la rigidità del clima, la mancanza di cibo, di alloggio, di vestiario e di cure sanitarie favorirono il sorgere di gravi epidemie.

La reclusione iniziò tra dicembre del 1939 e febbraio del 1940 con la creazione del ghetto di Lodz, alla fine del 1941 fu organizzato il sistema dei ghetti che consisteva nella reclusione di migliaia di persone in una zona della città recintata e isolata dalla popolazione circostante; si raggiunsero così gli obiettivi di impoverire la comunità ebraica sul piano economico e di emarginarla sul piano sociale, isolandola dal resto del mondo. I ghetti furono istituiti prevalentemente nell’Europa orientale, dove la tradizionale ostilità della popolazione verso l’ebraismo locale aveva impedito ogni forma di integrazione tra le due comunità.

Il ghetto di Varsavia fu creato nel novembre 1940 con un’ordinanza motivata dalla preoccupazione di evitare il pericolo di un’epidemia. Il ghetto divenne ben presto sovraffollato, con più di 400mila ebrei, nelle strade regnavano caos e sporcizia; il sovraffollamento, la mancanza d’igiene, il freddo e l’insufficiente alimentazione provocarono le prime morti. Nel maggio 1941 a Varsavia la gente moriva a una media di 150 persone al giorno e le strade si riempivano di morti, mentre i superstiti persero ogni parvenza umana. A rischio della vita i bambini utilizzavano le fognature sotterranee per tentare di uscire dal ghetto e ottenere mezzi di sussistenza.

Con l’azione denominata “Operazione Barbarossa”, il 22 giugno 1941 la Germania hitleriana invase a sorpresa l’Unione Sovietica, e con il proseguimento di questo attacco si fece strada nei vertici nazisti l’idea di predisporre un piano operativo per lo sterminio degli ebrei.

Il piano venne svolto in tre fasi, caratterizzate da tre metodi diversi: la prima nel 1941, detta dello “sterminio caotico”, fu caratterizzata da immensi massacri portati a termine in Unione Sovietica dagli “Einsatzgruppen”, i gruppi d’azione, uomini che avevano assimilato fanaticamente le teorie razziste del regime nazista e giungevano all’aberrazione di concepire lo sterminio in nome della razza germanica senza risparmiare donne, vecchi e bambini. Essi uccisero un totale stimato in oltre un milione e mezzo di persone, seppellite in numerose gigantesche fosse appositamente predisposte.

Questo fu un metodo che si rivelò poco efficiente, sia per i costi sia perché richiedeva degli specialisti; pertanto la logica dell’assassinio di massa stimolò la ricerca di tecniche più adatte allo scopo: l’idea fu quella di riprendere l’uso del gas tossico, un metodo già largamente sperimentato in precedenza con l’Operazione T-4 sui cittadini tedeschi malati di mente o inguaribili, a seguito del Decreto sull’eutanasia del 1° settembre 1939.

La seconda fase (1942-1943) fu messa in atto in territorio polacco e fu definita “Operazione Reinhard”, e consistette nel periodico svuotamento dei ghetti, nel trasferimento degli ebrei in campi della morte e nella sistematica rapina dei loro beni. I campi attivi in questa fase furono Chelmno, Sobibor, Treblinka, Belzec e Majdanek. Successivamente furono smantellati, in quanto dotati di camere a gas ancora tecnicamente primitive e privi di forni crematori; comunque in questi cinque campi della morte perì la maggioranza dell’ebraismo polacco.

Le operazioni si svolgevano secondo un canone preciso: le SS irrompevano all’interno del ghetto e, assistite da ausiliari della polizia speciale, davano la caccia alle loro vittime; con il passare del tempo le selezioni dei destinati ai campi della morte si fecero sempre più frequenti e, dopo l’annientamento di circa un milione 850mila ebrei, l’Operazione Reinhard fu sospesa.

Nel frattempo, il 20 gennaio 1942, vi fu la Conferenza di Gross Wannsee, presso Berlino, a seguito della quale Reinhard Heydrich venne designato da Göring alla predisposizione della “soluzione finale della questione ebraica” (Endlösung der Judenfrage) in Europa. Bisognava riorganizzare la “soluzione finale” intesa come sterminio sistematico degli ebrei d’Europa con un programma costruito con maggiore razionalità ed eseguito con scrupolosa sistematicità e freddezza.

Nei campi di concentramento nazisti i prigionieri erano obbligati a portare cuciti sugli abiti dei triangoli colorati che qualificavano visivamente il tipo di “offesa” per la quale erano stati internati. I più comuni erano: giallo per gli ebrei (due triangoli sovrapposti a formare una “stella di David”, con la parola Jude scritta sopra); rosso per i dissidenti politici (perlopiù comunisti e socialdemocratici); rosso con al centro la lettera “S” per i repubblicani spagnoli; verde per i criminali comuni; viola per i testimoni di Geova; blu per la forza lavoro straniera (prevalentemente polacchi); marrone per gli zingari (Rom e Sinti); nero per i soggetti “asociali” (ritardati, alcolisti, senzatetto, prostitute); infine rosa per i maschi omosessuali.

E siamo alla terza fase, dove la tecnologia tedesca mise a punto delle camere a gas con annessi forni crematori per dare la morte a migliaia di persone contemporaneamente. I nuovi impianti furono messi in funzione ad Auschwitz, in Polonia, nel cui sotto campo di Birkenau sparì soprattutto l’ebraismo dell’Europa occidentale.

La Polonia, secondo Hitler, doveva diventare la “camera di smistamento dell’Europa”; infatti ebrei, prigionieri di guerra e zingari furono inviati dai vari Paesi d’Europa occupati dai nazisti alla volta della Polonia. Con la creazione del campo misto di lavoro e di sterminio i nazisti poterono risolvere contemporaneamente vari problemi: accogliere l’alto numero di deportati, affrontare la questione della necessità di manodopera ed eliminare grandi masse di persone. Così si realizzò il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, vera industria del macello umano.

Auschwitz era già attivo fin dall’aprile 1940 come campo di concentramento dapprima per i detenuti tedeschi, successivamente anche per i prigionieri politici polacchi; nell’ottobre 1941 venne inaugurato il nuovo campo di Auschwitz-Birkenau, un campo di sterminio dotato di camere a gas e di crematori moderni e automatizzati.

Negli alti comandi nazisti si mirava al risparmio delle munizioni che divenivano preziosissime per l’avanzata sul fronte orientale, vennero dunque utilizzate le camere a gas, nelle quali il “Zyklon B”, un gas micidiale a base di acido prussico o cianidrico, veniva immesso attraverso normali docce e le vittime morivano per asfissia nell’arco di dieci-quindici minuti.

Con il tempo si rese necessario un ampliamento degli impianti e nel 1943 fu completato il lavoro con la realizzazione di quattro enormi forni crematori che potevano bruciare più di 4mila corpi al giorno, ovviando sia all’inconveniente della cremazione all’aperto, fino ad allora usata, sia al contatto diretto tra le vittime ed i carnefici.

Auschwitz divenne un vero e proprio circondario della morte comprendente campi e sotto campi che si estendevano per un raggio di 35 chilometri; lo sfruttamento durava fino all’esaurimento delle forze e la possibilità di sopravvivenza non superava in genere i tre mesi.

Nel circondario concentrazionario di Auschwitz-Birkenau le strutture mirarono a distruggere la volontà e la personalità degli internati attraverso la soppressione di ogni valore morale, sociale e religioso; qui perirono nelle camere a gas circa un milione e mezzo di ebrei.

Ma le sorti della guerra cambiarono rispetto al periodo 1939-41. Infatti con la vittoria dell’Armata Rossa a Stalingrado e lo sbarco degli Alleati prima in Sicilia e poi in Normandia, si stava prefigurando la sconfitta tedesca nella Seconda guerra mondiale. Proprio in vista dell’avanzata sovietica in Polonia, Himmler ordinò di smantellare il campo di Auschwitz, abbattendo i forni crematori, evacuando le industrie sorte intorno ai campi e soprattutto bruciando i documenti e i registri, mentre il materiale utilizzabile fu spedito nei campi di Mauthausen e di Gross Rosen, situati più a ovest.

Nella notte del 18 gennaio 1945 Auschwitz fu evacuato, le SS in fuga costrinsero 60mila internati ritenuti validi ad avviarsi a piedi, in pieno inverno, in una marcia ininterrotta di 70 chilometri verso ovest. Successivamente, con temperature di 20° sotto zero, i prigionieri furono caricati su vagoni scoperti, che partirono alla volta dei campi di Bergen Belsen, Buchenwald, Dachau, Mauthausen, e costretti a riprendere il lavoro forzato.

Negli ultimi mesi di guerra le disposizioni miravano a che non restassero superstiti della “soluzione finale” e nessuno fosse in grado di raccontare al mondo la verità. Man mano che i fronti avanzavano i prigionieri furono costretti a marce di trasferimento nella neve, da un campo all’altro, verso l’interno della Germania, dove gli ebrei, stremati, vennero sfruttati fino alla morte e i forni crematori continuarono a funzionare.
I giganteschi esodi degli internati furono interrotti dalle operazioni militari degli Alleati che liberarono i campi nazisti: Buchenwald l’11 aprile 1945, Bergen Belsen il 15, Dachau il 29, Ravensbrück il 30 e Mauthausen il 15 maggio.

Di ritorno dalla liberazione dei campi di sterminio gli alleati ne riportarono un’immagine diretta, apparivano infatti come “enormi cimiteri di cadaveri bruciati o insepolti e un insieme di installazioni delle quali non si comprendeva bene la funzione mortale che avevano esercitato fino all’ultimo momento”.

Gli ultimi istanti della guerra si stavano consumando: Hitler si suicidò il 30 aprile 1945, l’esercito russo entrò a Berlino il 1°maggio e la mattina del 7 maggio a Reims venne firmata la resa incondizionata della Germania.

Il 1°ottobre 1946 la Corte internazionale di Norimberga pronunciò i verdetti di condanna nei riguardi dei principali esponenti del regine nazista responsabili dei crimini commessi dal Terzo Reich contro l’umanità.

Il 1° novembre 2005 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite emanò la Risoluzione n. 60/7 per riconoscere la data del 27 gennaio, giorno simbolo della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz nel 1945 da parte dell’Armata Rossa, quale “Giorno della Memoria”, per ricordare le vittime dell’Olocausto e interrogarsi sul perché della Shoah.

Nonostante tutto questo, l’antisemitismo prosegue ancora quotidianamente sotto i nostri occhi, mentre di nuovo ci chiediamo come fu possibile quello che successe negli anni Trenta e Quaranta del Novecento in Germania e nell’Europa occupata dai nazisti.