La Giornata della Memoria riporta d’attualità, come ogni anno, il tema della Shoah. E con esso quello dell’antisemitismo, un problema mai eliminato dalla cultura occidentale, e non solo, nonostante gli orrori dell’Olocausto. Due temi messi in relazione nella videoconferenza “Il ricordo della Shoah nel comune impegno morale contro l’antisemitismo”, che oggi, 26 gennaio, unirà l’Italia a Gerusalemme.



A organizzarla sono il Jerusalem Center for Public Affairs, uno dei più famosi think thank israeliani, e il Centro per gli studi europei contro l’antisemitismo (Cesca), fondato e copresieduto da Marco Carrai, imprenditore, console onorario di Israele, e da Fiamma Nirenstein, direttore del Program on Antisemitism and Israel-Europe, Jerusalem Center for Public Affairs.



Proprio Carrai spiega il senso dell’iniziativa e del nuovo Centro studi, facendo un quadro dell’antisemitismo oggi.

Come mai avete sentito il bisogno di creare il Cesca e quanto è presente ancora l’antisemitismo nella nostra cultura?

A questo Centro stiamo pensando ormai da tempo con Fiamma Nirenstein e il sindaco di Firenze, perché vediamo quotidianamente che atti di antisemitismo si verificano in continuazione. In Europa sempre di più. Purtroppo questo è legato al fatto che talvolta nelle crisi economiche per ogni problema si dà la colpa all’altro, che viene individuato, per dei retropensieri, come ebreo. Gli atti di antisemitismo si moltiplicano e si confondono anche con gli atti anti-Israele: non dimentichiamo che il popolo ebraico è strutturalmente lo Stato di Israele. Si moltiplicano a livello di associazioni, di singoli individui. Abbiamo pensato che è l’ora non solo di fare memoria statica di qualcosa che è stato più di 70 anni fa ormai, qualcosa di drammatico, di unico e speriamo davvero di irripetibile, ma vogliamo capire perché stanno succedendo nuovamente continui attacchi antisemiti.



Una questione di educazione, di conoscenza? Cosa farete per rimediare a queste carenze?

La Fondazione ha lo scopo di studiare perché si ripete tutto questo, ma vuole andare nelle scuole, nelle università, a promuovere corsi contro l’antisemitismo, a far capire cos’è la cultura ebraica, che appartiene a tutti, a tutto il mondo. In Europa insistiamo molto sulle nostre radici giudaico-cristiane. Vogliamo educare alla cultura ebraica, ed educare a ciò che è lo Stato di Israele: io ricordo sempre che in quell’area del mondo è l’unica democrazia circondata da dittature spesso teocratiche. Ed è un luogo di innovazione, di modernità, mi faccia dire di tolleranza. Un Paese e un popolo totalmente diversi da quello che pensiamo.

Questi segnali di antisemitismo dove si vedono oggi? Gli strumenti più usati per riversare ogni tipo di odio sono di solito i social network: è ancora una volta questa la cartina al tornasole del fenomeno?

Certo, quella è una cartina al tornasole, basti pensare all’accordo che è stato fatto con la comunità ebraica internazionale ed Elon Musk per Twitter, per monitorare i tweet antisemiti. Io lo vedo personalmente su di me, che sono console onorario di Israele: quotidianamente vengono fuori tweet o messaggi su altri social network con riferimenti all’ebreo, e ai luoghi comuni su questo tema.

È una cosa che in un certo senso entra proprio nel linguaggio comune?

Sì, entra nel linguaggio comune, storicizzato. Ormai è un luogo comune che quando c’è qualcosa di sbagliato ecco che si dà colpa al complotto giudaico. In tutto, nella finanza, nelle guerre, nell’andamento della società. E questo suscita nelle persone con meno cultura e, non me ne vogliano, in qualche modo più deboli dal punto di vista economico e sociale, la necessità di scaricare la colpa su qualcuno. Recentemente abbiamo avuto problemi negli stadi, compreso lo stadio di Firenze, durante una partita ci sono stati cori antisemiti. Lo viviamo nel quotidiano e chi non se ne accorge è segno che si vuole girare dall’altra parte

C’è ancora chi sfrutta questo antisemitismo strisciante dal punto di vista politico e sociale?

Certamente sì. Il populismo porta sempre con sé dei riflessi di persone che hanno retropensieri, vivono di luoghi comuni e danno sempre la colpa all’altro. Purtroppo, la democrazia sta vivendo in questo momento di crisi economica un momento molto difficile. La borghesia, che riusciva in qualche modo a contenere in un’economia che cresceva tutti gli impulsi populisti, oggi viene meno e quindi questi fenomeni sono più evidenti.

Nel convegno di Firenze si lega il discorso della Shoah con quello dell’antisemitismo. Tutti gli anni si parla di Shoah nella Giornata della Memoria, il 27 gennaio, ma c’è ancora coscienza di quello che è successo oppure anche da questo punto di vista prevale l’ignoranza?

Penso che ci sia ancora molta ignoranza. Purtroppo la Giornata della Memoria è diventata un totem, dove tutti devono andare a deporre un mazzo di fiori e a fare testimonianza di esserci stato, ma un secondo dopo non ci pensano più. Non tutti, naturalmente. Molte volte rimane un rito come se ne fanno tanti. Invece, come diceva Elias Canetti, il valore della memoria è sapere che il passato non è mai passato del tutto. Anzi, è proprio presente, ed è anche futuro perché la storia si ripete sempre. Vediamo cosa è successo al popolo ebraico. Non è stata la prima e non sarà l’ultima persecuzione al popolo ebraico la Shoah, nei millenni ce ne sono state a decine. Basti pensare a Babilonia, ai Romani. Ancora oggi sui social network, dove diventa vero non ciò che è vero ma ciò che è virale, ecco che si creano sottogruppi senza educazione e cultura, che pensano che gli ebrei siano brutti e cattivi, con il naso gonfio e le orecchie lunghe e siano i padroni del mondo.

Quindi di Shoah se ne parla ancora troppo poco? È un tema che si approfondisce troppo poco?

Direi per nulla. E tutto viene confinato in una giornata. Il punto è sempre l’educazione. Sempre meno le famiglie riescono a educare, tutto è affidato alla scuola. Ecco che allora che dobbiamo partire da lì. Noi non possiamo fare a meno della cultura giudaica, tutta la nostra vita ne è impegnata, tutto parte da lì.

(Paolo Rossetti)

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