La proposta del partito repubblicano per evitare lo “shutdown” (la chiusura) sul Governo americano è stata bocciata alla Camera nonostante l’appoggio di Trump: 38 membri del partito repubblicano hanno votato contro per difendere una linea fiscale conservativa. Con lo shutdown si potrebbero interrompere tutti i servizi pubblici non essenziali e centinaia di migliaia di dipendenti pubblici potrebbero trovarsi senza stipendio.



La presidenza Trump non è ancora ufficialmente iniziata, ma la “sconfitta” di giovedì fa emergere uno dei temi della prossima presidenza e del 2025. I conti pubblici americani non sono su una traiettoria sostenibile. Da diversi trimestri questo fatto è stato notato sia dai manager dei principali gruppi finanziari americani, sia dal Segretario del Tesoro dell’Amministrazione Biden, Janet Yellen. Una settimana fa l’ex Presidente della Fed dichiarava di essere preoccupata per la sostenibilità fiscale americana aggiungendo di essere dispiaciuta per non aver fatto di più. Si dichiarava anche favorevole a una riduzione del deficit soprattutto nell’attuale contesto di tassi più alti.



Gli Stati Uniti viaggiano su livelli di deficit senza precedenti in periodi di crescita economica, di solito si vedono in fasi di recessione o di guerra. Il deficit delle partite correnti, già fortemente negativo, continua a salire; il rafforzamento del dollaro con ogni probabilità contribuirà a peggiorarlo.

Le preoccupazione del gotha della finanza americana è bipartisan, ma non ha un riflesso sui mercati. Se i conti americani non sono su una traiettoria sostenibile, allora ci aspetteremmo tassi di interesse più alti e indebolimento della valuta. Questo però non avviene e il dollaro sale. In parte è possibile che questo accada perché gli altri “stanno peggio”. L’Europa ha deficit molto più bassi, ma deve reinventare il suo modello nel pieno di una crisi energetica e geopolitica cha la coinvolge molto più direttamente dell’alleato. Il dollaro è comunque la valuta di riserva e i risparmi globali fluiscono verso un approdo che finora ha garantito una protezione dalla svalutazione della moneta e dall’inflazione. Se l’inflazione scende o non sale va “tutto bene” e i mercati possono continuare a ignorare i problemi delle finanze americane. Gli incentivi al sistema produttivo del Governo cinese sono deflattivi e aiutano l’America; questo però vale in assenza di dazi.



Tutto ciò che può spostare questo equilibrio è però destabilizzante per i mercati. I dazi sono inflattivi, la riduzione dei flussi migratori in entrata anche, e lo stesso vale per i tagli fiscali. Ciò spiega l’attenzione che gli investitori riservano a questi temi. Più i tassi si alzano, più assorbono il bilancio pubblico alimentando un circolo vizioso. Non è chiaro come i mercati potrebbero reagire in uno scenario di inflazione più alta. L’alternativa è che l’Amministrazione Trump avvii un programma di riduzione del deficit. In questo caso i timori sarebbero sulla crescita perché tagliare dipendenti pubblici, sempre possibile in America, o ridurre piani molto costosi come il condono dei debiti per lo studio impattano i consumi. Un accordo commerciale con la Cina potrebbe contribuire alla tranquillità dei mercati, ma al momento è presto per tirare conclusioni. L’abbandono di qualsiasi ambizione di transizione energetica in salsa europea, anche questo bipartisan, aiuta l’America a controllare i problemi finanziari e i prezzi.

In questi giorni vanno quindi in scena le prime avvisaglie di una questione fondamentale che ci accompagnerà per molti mesi.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI