La nostra penisola, negli scorsi mesi estivi, è stata coinvolta da una serie di fenomeni climatici dalle conseguenze tanto variegate quanto dannose. Le temperature da record, che qualcuno potrebbe attribuire alla semplice calura stagionale, hanno messo in difficoltà i coltivatori di tutto il Paese e richiesto misure di conservazione dell’acqua; le alluvioni, al contrario, hanno avuto effetti ben più tangibili, tra danni alle strutture e morti causate dal maltempo.



In questo clima di incertezza, dove i primi sintomi critici del riscaldamento globale si palesano in mezzo alle notizie sulla guerra e sulla penuria di gas, emerge dal Bel Paese una pellicola pronta a prendere di petto la tematica. Non è un caso: eventi recenti a parte, dando sul Mediterraneo l’Italia sarà una delle prime nazioni a essere colpita dall’innalzamento del livello del mare e da tanti altri simpatici fenomeni che metteranno ulteriormente in crisi la nostra società. Che sia con la paura o proponendo soluzioni, interessare le persone alla tematica è di certo encomiabile, ma si può dire che Siccità, al di là del suo valore cinematografico, riesca in tal senso?



Il Tevere è asciutto. In una Roma in cui l’acqua è razionata e distribuita alla popolazione col contagocce, una moltitudine di anime in pena si muove mossa dagli scopi più disparati. C’è chi cerca di aiutare la popolazione, che sia per altruismo o per riscattarsi agli occhi di un pubblico; chi subisce impotente, e vede relazioni già fragili crollare sotto il peso della crisi, mentre altri si ribellano, ma senza un valido bersaglio verso cui incanalare la propria rabbia; chi è abbandonato dallo Stato, chi è sfruttato dai media, chi sopravvive di espedienti all’italiana maniera e chi vaga per le strade della capitale, in un clima onirico e di sonnolenza. Riusciranno a trovare quello che cercano? E riusciranno a superare la siccità senza venire da essa profondamente cambiate?



L’atmosfera di Siccità, che ho cercato di trasmettere con questa mia presentazione, è di certo uno dei suoi maggiori punti di forza. La città di Roma diventa un Purgatorio dalle tinte giallastre: le sue strade sono segnate da manifestazioni di protesta, congreghe religiose, barriere della polizia, mentre gli appartamenti, dai più sfarzosi ai più semplici, brulicano tutti di blatte, come tante piccole celle di una prigione. Immagini suggestive si mischiano a miraggi e incontri che non sarebbero fuori posto in un deserto. In questo clima di disagio social media e mezzi di comunicazione diventano essenziali per mantenere contatti e relazioni, ma la loro efficacia è limitata: al meglio concedono un fugace momento di pausa dalla realtà, al peggio alimentano manie e paranoie o vengono sfruttati per generare astio.

La regia di Virzì è elegante, e quando si lascia andare a virtuosismi – si pensi ai numerosi piani sequenza presenti nella pellicola – essi non sono usati per lasciare lo spettatore a bocca aperta, ma per raccordare più situazioni e piani in un’unica inquadratura. L’uso del montaggio alternato diventa fondamentale per una trama che comprende tale moltitudine di personaggi, e in tal senso assume un’importanza centrale l’utilizzo della musica, che prende vita in una scena per poi diffondersi nelle successive e legarle indissolubilmente. La telecamera segue agilmente i personaggi a ogni ora del giorno, aiutata dalla fotografia che trasmette il caldo torrido e la sensazione quasi post-apocalittica che pervade la città.

Il cast è d’eccezione, una sequela di ottime performance perfettamente calate nel contesto costruito dalla trama. Ognuno dei protagonisti meriterebbe un plauso a sé stante, ma viste le dimensioni del cast ci concentreremo su coloro che hanno spiccato su tutti: Valerio Mastandrea interpreta un driver stroncato dal caldo e dalla sonnolenza, che vaga per la città inseguito da fantasmi e rimpianti, ma con ancora abbastanza energia da regalare qualche perla comica; Emanuela Fanelli è la (apparentemente) svampita erede di una famiglia di speculatori d’acqua, ma dietro le sue stranezze si cela una mente acuta e un animo altruista che andranno incontro a un destino imprevedibile; Tommaso Ragno si cala nei panni di un attore fallito a cui la crisi dell’acqua dà modo di tornare sotto i riflettori, rivelando però il suo egocentrismo e la sua pochezza con pennellate via via più inquietanti.

Ma. Perché c’è un grosso ma, nato dalla premessa di questa pellicola, e che mi sono posto fin dai primi trailer rilasciati: Siccità parla effettivamente della crisi ambientale, o la sfrutta come pretesto per raccontare la solita storia italiana di tradimenti e litigi tra genitori e figli? La risposta sta nel mezzo. Nella marea di personaggi che il film insegue ce ne sono alcuni che non sono minimamente toccati dalla privazione, e le cui storie si sarebbero potute tranquillamente svolgere nella Roma di tutti i giorni; altri sono centrati alla perfezione (la strana coppia che chiude la scena finale poteva meritare un film tutto per sé), ma hanno poco spazio in virtù della presenza dei sopracitati elementi superflui, che rubano minutaggio; c’è chi è colpito dalla siccità, ma la vive come poco più che un fastidio, chi cerca soluzioni ma vede la propria storia dirottata su altre questioni. Non si vede mai una persona avere veramente sete e trovarsi a corto di liquidi, perché nonostante alcuni personaggi si ribellino alle istituzioni queste sembrano avere la situazione sotto controllo, almeno per quanto concerne la distribuzione dell’acqua potabile; la disperazione si sente ma non si vede, e troppo spesso viene messa in secondo piano da conflitti di coppia, litigi e cornificazioni varie, come se la siccità fosse solo il pretesto per costruire un’ambientazione variopinta.

Gli effetti più violenti della crisi si palesano, in realtà, tramite un espediente interessante e scientificamente sensato, che avvicina la penuria d’acqua alle situazioni vissute quando la pandemia del Covid ha raggiunto la sua massima intensità; tuttavia, questa soluzione, che punta a colpire lo spettatore richiamando alla memoria quei giorni, rinuncia ad approfondire e sviluppare le altre dinamiche della crisi. Vediamo molti personaggi che criticano il Governo, che sono stati abbandonati a sé stessi, che vengono a patti con i propri drammi personali; quelli che si preoccupano sinceramente della mancanza d’acqua e lottano contro di essa sono ahimè molto meno.

In conclusione, Siccità è un film dai tanti pregi, dalla regia alle performance, dalla colonna sonora all’atmosfera. La premessa tutto sommato funziona, nonostante non sia stata sfruttata a pieno, ma non ci sono le basi per definire la pellicola “rivoluzionaria” o “provocatoria”. Stiamo vivendo un periodo di crisi che si farà sempre più intensa, in cui saranno inventiva e sacrifici a determinare il nostro futuro in quanto nazione e in quanto specie; se si vuole portare tale situazione sul grande schermo, come può venire in mente di chiudere il film con un messaggio alla “ma sì, tanto alla fine le cose si sistemano da sole?”.

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