È stato recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.L. 146/2021 (D.L. 146 del 21/10/2021, pubblicato in GU Serie Generale n.252 del 21-10-2021) “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”. Il Premier Draghi, presentando le nuove disposizioni, ha commentato il decreto appena approvato affermando che “Nei mesi scorsi abbiamo assistito a un numero inaccettabile di morti sul lavoro. Come Governo, ci siamo impegnati a fare tutto il possibile per impedire che questi episodi possano accadere di nuovo”.
Il presidente della Repubblica, in un recente messaggio al Presidente dell’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, ha espresso un forte richiamo alla cultura della legalità e della prevenzione: “Le tragedie a cui stiamo assistendo senza tregua sono intollerabili e devono trovare una fine, rafforzando la cultura della legalità e della prevenzione. Le leggi ci sono e vanno applicate con inflessibilità. Le vittime degli incidenti sul lavoro sono persone che escono di casa con progetti per il futuro e attività dirette ai loro cari. Il luogo di lavoro deve essere il posto da cui si torna. Sempre”. Anche gli organi di informazione hanno dato una vasta eco agli infortuni sul lavoro, invocando regole più stringenti e controlli più serrati.
Ogni volta che leggiamo le storie dei lavoratori, dipendenti o anche titolari di aziende spesso costruite con grandi sacrifici, si prova una sempre un senso di ingiustizia e di dolore per vite spezzate in luoghi da cui, come ha detto il Presidente Mattarella, si dovrebbe tornare sempre.
Se è pur vero che, a un’analisi dei dati Inail, il numero complessivo degli infortuni non sembra essere in realtà in aumento (come abbiamo letto nel recente intervento sul Sussidiario a firma di Stefano Dondi), resta il fatto che un grande lavoro si può e si deve fare.
Le disposizioni approvate in Consiglio dei ministri puntano su ispezioni e aggravamento di sanzioni, certamente importanti, ma – come già Manzoni aveva notato – non decisive nel favorire cambiamenti culturali.
Da avvocato che opera nel settore della sicurezza sui luoghi di lavoro osservo che il richiamo del Presidente Mattarella a una maggiore cultura della legalità e della prevenzione è particolarmente centrato. Tale richiamo, a mio avviso, deve essere raccolto da tutte le parti coinvolte: datori di lavoro e lavoratori, certamente con l’aiuto fondamentale delle rispettive rappresentanze (in questo campo i corpi intermedi sono “mediatori culturali” fondamentali nella costruzione di una cultura del lavoro).
Troppo spesso si ha notizia di infortuni sul lavoro ricollegabili alla disattivazione dei dispositivi di sicurezza sui macchinari o dal mancato uso dei dispositivi di sicurezza o dalla violazione di procedure. A volte si ha l’impressione che in entrambe le parti manchi una piena consapevolezza della pericolosità di certe scelte e comportamenti, che sono dettati dalla volontà, a volte, di aumentare la produttività, altre volte di evitare attività ritenute eccessivamente macchinose, altre volte ancora sono riconducibili a una sopravvalutazione delle proprie capacità e a una sottovalutazione dei rischi.
Anche la tendenza a considerare il lavoratore unicamente come un soggetto da tutelare, e non anche come un attore che deve avere un ruolo attivo in questa importante partita, contribuisce a rendere più difficile la maturazione della consapevolezza negli operatori circa il fatto che l’obbligatorietà e la cogenza dei doveri di prevenzione che la normativa in materia (e la ragionevolezza) ha posto a loro carico. Ne consegue che spesso i doveri di collaborazione che sono imposti anche ai lavoratori vengono disattesi, e la sicurezza viene vissuta passivamente, come una condizione di cui si beneficia (legittimamente, per carità), ma che non richiede alcuna partecipazione.
Quindi, è certamente importante aggiornare la normativa ed eventualmente inasprire le sanzioni, sottolineando così il particolare disvalore delle condotte illecite; tuttavia, è fondamentale puntare sul recupero di una cultura della sicurezza e della prevenzione tra gli operatori.
Il primo ambito, a mio avviso, nel quale deve essere recuperata la cultura della sicurezza e della prevenzione – sembra ovvio ma alla prova dei fatti non lo è – è proprio il luogo di lavoro. Fondamentale in questo senso è la formazione, sia dei lavoratori ma anche dei datori di lavoro. Da un lato, il datore di lavoro deve pretendere dai lavoratori il rispetto delle norme e, dall’altro, i lavoratori devono fare altrettanto nei confronti del datore di lavoro.
Troppo spesso infatti accade di riscontrare sui luoghi di lavoro un’eccessiva tolleranza – se non una assenza di consapevolezza – verso palesi violazioni delle regole basilari in materia di salute e sicurezza; al contrario, la legge e i contratti collettivi forniscono strumenti che, se effettivamente utilizzati e applicati con intelligenza, sarebbero utili nella prevenzione degli infortuni e nella creazione di ambienti di lavoro più sicuri.
Sul fronte datoriale, invece, spesso capita che la sicurezza sia percepita come un adempimento burocratico da assolvere più che una condizione imprescindibile; è vero che gli adempimenti sono molti e richiederebbero personale dedicato (con costi talvolta poco sostenibili per le aziende di piccole e medie dimensioni), ma a volte sembra che si voglia puntare più al superamento dell’ostacolo burocratico (avere le “carte” a posto) che non a una piena conoscenza e consapevolezza del fenomeno “sicurezza sul lavoro”.
La combinazione della scarsa consapevolezza degli attori, datore di lavoro e lavoratore, rende qualunque sistema poco efficace, limitando spesso l’attenzione delle parti coinvolte al rispetto dei meri adempimenti formali senza andare a toccare i comportamenti delle persone.
Una formazione di qualità, accompagnata alla pretesa del rispetto delle regole da parte di tutti i soggetti coinvolti (datori di lavoro e lavoratori) sarebbe certamente di aiuto e renderebbe meno urgente la continua ricerca di nuovi ispettori e di sanzioni più gravi.
Gli strumenti e i soggetti già ci sono: a fianco del datore di lavoro e dei lavoratori ci sono il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (assieme agli addetti), il medico competente, ciascuno munito di prerogative, poteri e compiti.
Ad esempio il lavoratore, in virtù dell’art. 20 del T.U. Sicurezza, deve “segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza”; per parte sua il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 18 del T.U. Sicurezza, deve “richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione”.
Soffermandoci ad analizzare questi due obblighi – che pur non essendo gli unici per entrambi i soggetti, sono centrali – è possibile comprendere quante tragedie si sarebbero potute evitare se ciascuno avesse fatto il suo dovere, pretendendo il rispetto delle regole, l’uso dei dispositivi di protezione, il mantenimento del corretto funzionamento dei dispositivi di sicurezza. Certo è che, d’altro canto, questi richiami comportano necessariamente uno scontro: vuole dire, nei confronti del datore di lavoro, fare segnalazioni che possono portare a esposti o comunque a mettere il segnalante in cattiva luce (anche se ci sono meccanismi di segnalazione anonima che attenuano tale rischio) o, nei confronti dei lavoratori, instaurare procedimenti disciplinari e applicare sanzioni a lavoratori che – erroneamente – si ritengono migliori perché più produttivi o più veloci.
Garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro non è un compito che può essere delegato allo Stato e alle sanzioni (sempre più severe), ma richiede consapevolezza dei valori in gioco e responsabilità da parte di tutti.
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