Il primo istituto suscettibile di rilettura innovativa nel diritto del lavoro è la tutela dell’ambiente di lavoro, cioè prevenzione, salute e sicurezza considerati in correlazione sempre più stretta con l’ambiente esterno. È ampiamente noto che il sub-sistema legale italiano di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, fortemente conformato dal diritto Ue e ispirato alla filosofia del benessere totale e dell’integrità psicofisica, abbia ottenuto risultati per infortuni e malattie professionali. Ciò malgrado, esso presenta ampi margini di miglioramento sul piano dell’effettività delle protezioni, sino al punto d’aver giustificato recenti irrigidimenti sanzionatori (la tutela penale punitiva) in relazione ai fenomeni più eclatanti di violazione dei dispositivi di prevenzione e protezione, in primo luogo il ricorso al lavoro nero.
Sanzioni premiali a rafforzamento dell’effettività della prevenzione, formazione e informazione di qualità, investimenti tecnologici mirati, rafforzamento del numero e della qualità degli addetti all’attività ispettiva, sembrano, tuttavia, le alternative più efficaci all’inasprimento dell’apparato sanzionatorio dissuasivo e punitivo, o alle recenti sentenze su infortuni sul lavoro.
Una sentenza della Cassazione a gennaio 2022 ha messo in luce l’evoluzione da un modello antinfortunistico “iperprotettivo” a un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra datore di lavoro, Rspp e lavoratore.Si tratta della sentenza n. 836 – Corte di Cassazione Penale, sez. IV. La Cassazione penale afferma che si deve applicare un modello “collaborativo” e gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, lavoratori compresi.
Il datore di lavoro che ha effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza, adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante e imprevedibilmente colposa del lavoratore. Sono convinta che un ulteriore impulso innovativo in termini di partecipazione, bilateralità e coinvolgimento sindacale al sistema di sicurezza aziendale arrivato con la stagione dei protocolli di prevenzione nel corso della pandemia deve proseguire.
L’adozione di modelli organizzativi formali non deve far trascurare che il loro successo operativo può, oltre che dalle tre dimensioni canoniche della sostenibilità – quella sociale, quella ambientale e quella economica -, dipendere dalla qualità, anche culturale oltre che operativa, della leadership aziendale: una leadership in grado di conformare la complessiva governance societaria e la mission aziendale ai principi e alle regole della sostenibilità della formazione continua.
Servono una pluralità di fattori e una pluralità di interventi. Un primo elemento fondamentale è capire che bisogna dare attuazione a una norma del 2008: la qualificazione professionale delle aziende. E questo significa che non si può improvvisarsi imprenditore e ci vuole una specifica disciplina sulla qualificazione professionale delle aziende, e cioè vedere i requisiti tecnici, organizzativi, logistici, attrezzature e quant’altro di chi può fare l’imprenditore oggi in Italia. Criteri che legittimino l’assunzione e la qualificazione delle imprese come tali e che devono essere vagliati prima dell’iscrizione alla Camera di commercio e di operare sul mercato.
Questione dirimente: centrale la formazione del personale a livello generale per tutte le imprese. Ma il problema è chi fa formazione. C’è troppa gente che si improvvisa formatore sulle sicurezza sul lavoro. Un dato: quando si è messo in piedi un sistema di monitoraggio al ministero del Lavoro per iscrivere le aziende abilitate a fornire servizi di formazione sulla sicurezza sul lavoro, sono pervenute oltre 150 domande. I soggetti realmente abilitati, con la professionalità adeguata per fare formazione sono stati meno di 15. Soprattutto poniamo l’attenzione sul fatto che un’economia è competitiva se i suoi addetti sono qualificati. Dunque, lavoratori e imprese sono chiamati a intraprendere un percorso di aggiornamento professionale continuo. Volontario da parte della persona. Guidato dall’azienda. Strategico per le forze produttive.
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