Nel nostro Paese, anche grazie ai finanziamenti di Industria 4.0, le innovazioni tecnologiche sono state molto pervasive e non c’è settore economico o semplice attività che non abbia subito l’impatto di una nuova tecnologia attraverso nuovi macchinari o innovazioni del processo produttivo favorendo una spinta all’evoluzione sociale e organizzativa e la nascita di nuovi lavori.



Nell’economia digitale, nel lavoro tramite piattaforme e nell’Intelligenza artificiale, se molto è il potenziale a sostegno della prevenzione (pensiamo all’adozione di strumenti di lavoro che si avvalgono di sensoristica avanzata e robotica collaborativa), i rischi reali sono quelli dati dai ritmi di lavoro e della spersonalizzazione. Questo soprattutto per la mancanza di adeguati percorsi formativi e informativi, per l’estrema modernità delle tecnologie digitali e per un’organizzazione del lavoro diffusa ancora basata sostanzialmente su un modello taylorista-fordista, con mansioni parcellizzate e ripetitive, a bassa competenza, tali da mantenere i lavoratori in condizione di passività.



Siamo di fronte a un processo che vede intersecarsi e crescere, insieme al lavoro tradizionale, l’avvento delle nuove tecnologie, il lavoro agile (dove tempo e luogo sono per legge indifferenti), gli strumenti innovativi a tutela della salute (esoscheletri), e della sicurezza (dispositivi indossabili come smartwatch, occhiali intelligenti, orologi che monitorano l’attività fisica, cardiaca e del sonno). La persona va, per questo, messa “al centro” e protetta applicando un diverso modello di tutela molto più articolato e innovativo.

Ecco allora che il compito delle politiche e delle normative sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro diviene importante perché deve essere in grado di prevenire pericoli ancora indefiniti senza, tuttavia, creare allarmismi nel sistema economico e in particolare tra gli stessi lavoratori.



I luoghi di lavoro risentono di molte variabili e da esse ne sono inficiati: le dimensioni delle imprese, i modelli organizzativi, le innovazioni tecnologiche, gli effetti della digitalizzazione, la situazione del mercato del lavoro, la globalizzazione, i cambiamenti demografici e non da ultimo quelli climatici. Per tale motivo, solo da un’attenta analisi di questi fattori si può cercare di invertire la tendenza della crescita degli infortuni e delle malattie professionali registratasi negli ultimi tempi. Come risaputo da tempo, le cause alla base degli infortuni e delle malattie professionali sono spesso riconducibili alla cattiva, inadeguata e, in alcuni casi, illegale organizzazione del lavoro, che non tiene conto di tutti gli elementi sopra esposti.

Anticipare i cambiamenti determinati dalla transizione verde, digitale e demografica per migliorare la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali non può essere un’opzione, ma deve diventare un’imprescindibile priorità.

La crescita di tecnologie digitali, quali l’intelligenza artificiale (IA), la robotica avanzata (cobot), l’Internet delle cose (IoT), i big data, i dispositivi indossabili e le piattaforme on line, stanno cambiando la natura, l’ubicazione, le prestazioni lavorative, i tempi e le modalità di organizzazione, così come tutta la gestione del lavoro.

Inoltre, a partire dal 2023, con l’avvio degli interventi previsti dal Pnrr si assisterà a un significativo inserimento di nuovi lavoratori nel mondo del lavoro e, se costituiranno una spinta allo sviluppo, alla crescita economica e sociale, nessuno dovrà permettersi di riproporre l’inaccettabile binomio dell’aumento occupazionale con l’aumento degli infortuni sul lavoro.

Una delle sfide più impegnative da affrontare è la riqualificazione dei lavoratori che a causa dei cambiamenti devono sviluppare nuove competenze. Per questo è importante la formazione che non può essere però l’autoapprendimento.

Nell’affrontare queste sfide quotidiane dobbiamo però fare un salto di qualità, per giungere a definire politiche formative e di prevenzione nei luoghi di lavoro, quale frutto di un modello partecipato e condiviso di tutela, che veda impegnati e convergenti su univoche soluzioni, i responsabili aziendali e le rappresentanze sindacali.

Nel dibattito attuale, specialmente giornalistico, si ha la sensazione che la tutela della salute e sicurezza riguardi solo i lavoratori. Ma non è così. È un valore ritenuto imprescindibile anche per la stragrande maggioranza delle imprese. Per tale motivo è importante fare uno sforzo congiunto nel perseguire l’obiettivo comune di rispettare e garantire questo valore.

Ne va non solo della vita di molte lavoratrici e lavoratori, ma anche del sistema economico in quanto tale; sono i settori produttivi che danno un’immagine negativa di sé, favorendo una cultura anti-industriale o comunque diffidente rispetto al lavoro. Ne sono più colpiti i giovani ai quali, al loro primo ingresso nel mondo del lavoro, spesso viene riservata una formazione veloce e generica sul tema della salute e sicurezza, accentuando così la convinzione di avere meno tutele rispetto alle generazioni precedenti anche su questo fronte.

In questo scenario non dimentichiamoci del ruolo fondamentale che le istituzioni devono tenere facendosi carico dei costi del sistema sanitario e fronteggiando gli effetti di una sfiducia sociale generalizzata a cominciare dalle famiglie colpite da lutti o da gravi avversità causati dagli incidenti sui luoghi di lavoro.

C’è quindi bisogno di sviluppare percorsi di approfondimento che non siano influenzati né da una spinta acritica verso le innovazioni, né da un atteggiamento di contrapposizione al cambiamento, giungendo a definire piani di intervento e proposte contrattuali, programmando percorsi di formazione per i diversi ruoli sindacali e aziendali sulla salute e sicurezza.

Questo approccio richiede un salto culturale, estendendo la partecipazione organizzativa “dal basso”, prevedendo progetti formativi congiunti tra il management aziendale e i rappresentanti dei lavoratori, rendendo operativi, nei luoghi di lavoro, i Comitati congiunti previsti dai Contratti collettivi nazionali e dalla normativa di prevenzione, introducendo un sistema di qualificazione delle imprese (ad esempio, la patente a punti) e costruendo sistemi premianti per le aziende che danno prova di impegni straordinari in tema di occupazione, ricerca, prevenzione, sicurezza e formazione.

Dall’altra parte è necessario anche definire e diffondere pratiche di progettazione congiunta di nuove soluzioni tecnologiche e organizzative e la valutazione dei relativi impatti; dare maggiore concretezza all’attività degli organismi paritetici che devono essere implementati e sviluppati sul territorio; contare nei processi di innovazione organizzativa sulla responsabilità dei lavoratori, degli stakeholder e del management aziendale, verso una chiara e determinata propensione all’utilizzo dei modelli di organizzazione e gestione, della normazione tecnica e delle forme diverse di certificazione integrata.

Fondamentale è il rafforzamento dei controlli, accrescendo le forze in campo, sul fronte della vigilanza (Asl, Inl, Inail, Carabinieri) per rendere effettiva la funzione di deterrenza delle sanzioni con la messa a regime dei flussi informativi (banche dati) e l’incrocio dei diversi sistemi (regionali, istituzionali e parti sociali).

Il ruolo del sindacato dovrà essere centrale e determinante nel favorire il processo di innalzamento delle tutele in tutti i luoghi di lavoro che saranno aperti al cambiamento, raggiungendo tutti i contesti lavorativi e tutti i lavoratori, che sono complementari e non subordinati alle macchine e ai processi produttivi, al di là della tipologia del rapporto contrattuale, ponendo al centro la persona con le sue tipicità e abilità residue.

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