Ogni giorno oltre un miliardo di persone si accende ancora una sigaretta e questo dato è più o meno lo sempre lo stesso da circa 20 anni nonostante lo sforzo delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali per ridurre il numero di consumatori. Basterebbe questo dato per capire l’inefficacia delle politiche per combattere il tabagismo messe in atto dai Governi su indicazione dell’Organizzazione mondiale della sanità.
La colpa di questo impasse è di una serie di politiche sbagliate che continuano a sottovalutare l’aiuto che possono dare le sigarette elettroniche e il vaping per ridurre il numero dei fumatori. Questo è emerso dal Global Forum on Nicotine, giunto quest’anno all’ottava edizione, svoltosi a Liverpool in Inghilterra. Due giorni di dibattito tra esperti di politiche pubbliche provenienti da tutto il mondo per testimoniare l’importanza di incoraggiare la riduzione del danno da fumo per la regolamentazione del settore e per sottolineare gli sbagli dell’Oms in questo settore.
Secondo Christopher Snowdon (Institute of Economic Affairs, Regno Unito), autore dello studio “The Impact of Cop9 on vapers”, «a dispetto delle numerose ricerche che dimostrano che il vaping sia il 95% meno dannoso del fumo convenzionale e che lo svapo non è una porta di accesso per il consumo di sigarette, l’Oms ha progressivamente irrigidito la propria posizione, spingendo per il divieto assoluto o per una regolamentazione estremamente stringente nei confronti di questi prodotti». Questa posizione, aggiunge senza mezzi termini Snowdon, rappresenta «una minaccia per la salute pubblica». «Le istituzioni, la politica e una certa parte di scienziati puntano a screditare l’approccio di riduzione del danno da fumo con attacchi che screditano coloro che hanno un’opinione diversa dalla loro», ha, invece, sottolineato Konstantinos Farsalinos, Università di Patras e School of Public Health dell’University West Attica in Grecia, mentre il fisico messicano Roberto Sussman, National University of Mexico, ha evidenziato come «in fisica siamo addestrati a interrompere le conoscenze attuali. La fisica avanza sempre per interruzione. Nella decisioni sul tabacco e sulla nicotina, la politica ha preso il sopravvento e la scienza è rimasta in secondo piano».
Gerry Stimson, professore emerito dall’Imperial College di Londra e direttore del forum, invece, ha ricordato come una stima parla di «98 milioni di fumatori adulti in tutto il mondo siano già passati a prodotti a base di nicotina ma con meno sostanze dannose» e che, non tenendo in minimo conto l’opposizione dell’Oms alle politiche di riduzione del danno, «le autorità sanitarie del Regno Unito da anni incoraggiano il passaggio alle sigarette elettroniche dei fumatori che non riescono a smettere. «Oggi», ha ricordato Stimson, «le sigarette elettroniche sono l’aiuto più diffuso per abbandonare le sigarette. In Giappone le vendite di sigarette sono diminuite di un terzo grazie all’introduzione dei prodotti a tabacco riscaldato. Ora la sfida è rendere accessibili questi prodotti anche a chi vive in Paesi a basso reddito».
Durante la due giorni Global Forum on Nicotine, gli esperti hanno ricordato la positiva esperienza inglese sull’uso dei prodotti alternativi alle sigarette, ma anche sottolineato come altre parti del mondo siano ancora lontani dall’avere un atteggiamento serio e scientifico sull’argomento. L’esempio peggiore è quello l’India, dove sigarette elettroniche e prodotti a tabacco riscaldato sono stati recentemente vietati, nonostante un’enorme diffusione delle sigarette tra la popolazione indiana. «Il problema del fumo in India», ha spiegato Jagannath Sarangapani, membro di Association of Vapers India «è gigantesco e causa ogni anno un milione di decessi. Ma il mercato delle sigarette è fiorente e protetto: la legislazione sulle sigarette non subisce interventi da tempo, la tassazione non viene toccata da tre anni. Eppure, l’Oms ha premiato il ministero della Salute indiano per aver vietato le sigarette elettroniche e i prodotti a tabacco riscaldato, i cui consumatori rappresentano appena lo 0,02% del mercato. La verità è che in India non è stato fatto nulla di efficace per risolvere il problema del fumo e focalizzarsi soltanto su quello 0,02% di mercato rappresentato dai prodotti innovativi, che sono strumenti di riduzione del danno, non ha alcun senso».
Il paradosso indiano, secondo Sarangapani, è reso ancora incredibile dalla legislazione sulla ricerca: «Da una parte», spiega, «le autorità lamentano la mancanza di studi, dall’altro la regolamentazione indiana proibisce agli enti governativi di effettuare studi sugli strumenti di riduzione del danno».
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