Alfonso Signorini non mi è simpatico: o forse lo è, caratterialmente, sembra gioviale, ma non mi piace il programma che fa, come lo fa, la banalizzazione dei sentimenti, la spettacolarizzazione dell’intimo (in tutti i sensi), la superficialità eccetera eccetera e anche le sue movenze mi paiono eccessive e teatrali.
Tuttavia funziona, il pubblico plaude, e le leggi della tv sono queste, piaccia o no, e spesso non piacciono. Tuttavia va difeso, senza se e senza ma, nel tiro al massacro per alcune pare improvvide dichiarazioni “contro ogni tipo di aborto”.
Si parlava – ahimè – di una cagnolina, e vorrei sommessamente ricordare che il paragone tra uomini e cani mi disgusta, dato che c’è più attenzione ai cani, troppe volte, che alle persone. (Ho avuto cani, li adoro, ma c’è differenza). Ma l’esternazione di Signorini è parsa lesa maestà su un diritto acquisito, una legge che dà la libertà alle donne, e bla bla bla.
Ok, è così, la 194 c’è. Ma nulla impedisce di criticare questa legge, di ritenerla vecchia, sbagliata sotto il profilo etico e giuridico, dal momento che esclude il dato fondamentale, che tra i diritti delle persone ci sia anche quello del feto, che è una persona, non per me, ma per la scienza. Si può parlar male di una legge? Si può, si deve. Si può esprimere liberamente il proprio pensiero, anche se non è in linea con la maggioranza che governa l’informazione? Si può, si deve.
Mi domando quale sarebbe stata la reazione delle varie Lucarelli e compagnia, se Signorini avesse rivendicato il diritto all’aborto per tutti, dai cani alle ragazzine minorenni, senza vincolo alcuno. Un peana, applausi, stima. Allora c’è qualcosa che non va in questo paese, un condizionamento imbarazzante di ogni pensiero che non sia ritenuto corretto, da chi detiene il potere mediatico. Tocca resistere, e non farsi imbavagliare per convenienza.
Ah, il Papa supercitato quando fa comodo insiste nel parlare di aborto come di un crimine, di un atto da sicari assoldati biecamente. Non fa comodo, e finisce nelle pagine interne, senza rilievo. Altro che censura.
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