Il sottosegretario alla salute del Governo Draghi, Pierpaolo Sileri, è pronto a tornare al suo lavoro da chirurgo. A Libero si racconta: “La politica mi piace. Sono stati anche anni entusiasmanti. Entrare in Parlamento ti consente di promuovere battaglie in cui credevi, come quella contro la poca trasparenza che talvolta investe i concorsi universitari, e più in generale l’intero mondo della Sanità, e che oltre a seminare equivoci e pregiudizi, crea sfiducia nel sistema, che pure invece è in grado di formare quelle eccellenze che il mondo ci riconosce”.

Per lui, in questi anni, anche varie apparizioni in tv in qualità di rappresentante dell’esecutivo: “Io non sono né viro né star, andavo in tv a rappresentare il governo, come sottosegretario alla Salute. Per come sono fatto, le istituzioni si possono servire anche facendo il proprio lavoro in ospedale, con coscienza e professionalità. Tutti nel loro piccolo possono servire le istituzioni, anche tu lo stai facendo ora”. Dopo la caduta del Governo, però, è pronto a tornare sua professione: “Nei mesi scorsi in parecchi mi hanno sondato, per capire se ci avessi ripensato; e naturalmente non solo da Cinque stelle. Se te la devo dire tutta però, dubito che dopo ottobre qualcuno mi cercherà. Sai, come si è visto in questi anni io tendo a seguire la mia strada e a fare quel che ritengo giusto, senza rispondere alle logiche di scuderia. Quanti di quelli che mi vedevano in tv mi ricollegavano a M5S. Ho seguito Di Maio, in Insieme per il Futuro, perché resto un tifoso del governo Draghi”.

Sileri e gli errori del Covid

Pierpaolo Sileri ha seguito fin dalle prime fasi l’evoluzione del Covid. A Libero, ora, confessa gli errori: “Ci voleva una gestione al contempo più collegiale e più snella e concentrata, con un nucleo piccolo di alto profilo. Noi l’abbiamo avuta semplicemente verticistica. Il Comitato Tecnico Scientifico, nel quale non figuravano eccellenze mediche, decideva tutto e riferiva il governo applicava, con qualche correzione politica e qualche altra ideologica“. Secondo l’esperto, “Avremmo dovuto costruire un nucleo centrale forte e poi arricchirlo con tante braccia costituite da piccole task-force specializzate nei vari settori, dalla rianimazione alla logistica, dall’epidemiologia alla virologia fino alla scuola, e forse ci saremmo risparmiati i banchi a rotelle. Invece non c’è stata capacità, e forse neppure voglia, di fare squadra. Travolti dall’emergenza, alcuni persero la testa. Il governo si mise subito in contrapposizione con le Regioni”.

Eppure, proprio Sileri, aveva avvisato tutti del pericolo: “Io tornai da Wuhan ai primi di febbraio del 2020. Mi pareva di essere entrato in un’altra realtà, una dimensione cinematografica di fantascienza, non avevo mai vissuto nulla di simile. Città spettrale, uomini bardati come astronauti che agivano come robot, silenziosi e decisi, gente portata via, paura e disperazione. Dissi ai miei colleghi di tenersi pronti, che il virus sarebbe arrivato anche da noi, che avevo visto cose che noi umani… L’allora direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani, Giuseppe Ippolito, aveva capito le avvisaglie. Ma ai tempi il capo di gabinetto del ministero era Goffredo Zaccardi, un accentratore, ascoltava poco, mi ha lasciato molto in panchina. Anche l’Europa ha dormito a lungo, il suo piano pandemico era sotto le attese. Per non parlare dell’Organizzazione Mondiale della Sanità…”. Dal suo canto, il sottosegretario alla salute ha provato ad anticipare i tempi: “Io suggerì immediatamente di acquistare respiratori, perché sarebbe stato l’inferno, e di coinvolgere l’ex ministro della Salute del governo Berlusconi, Ferruccio Fazio, che nel 2009, quando arrivò l’influenza suina, rinforzò gli organici. Una mossa che ancora oggi si è rivelata decisiva per salvare la sanità in Italia“.