La gioia per la liberazione di Silvia Romano supera qualsiasi altra considerazione. Ma ce n’è un’altra consolante: il modo con cui si è salvata la vita di questa ragazza e i nostri apparati dello Stato sono riusciti a strapparle le catene in Somalia, dov’era stata trasferita dopo il sequestro in Kenia, non rafforza i terroristi, non li ingrassa, non li legittima.



Silvia nel momento in cui scrivo è in sicurezza, ma non è ancora partita alla volta dell’Italia. I criminali che l’avevano nel loro totale possesso appartengono ad Al Shabab, che significa “I Giovani”. Costoro sono tra i gruppi fondamentalisti armati che occupane vaste zone dell’Africa. Se Boko Haram insiste soprattutto su Nigeria e Camerun, ed è vicina al Califfato, così come le formazioni jihadiste che infestano Mali, Niger e Burkina Faso, invece Al Shabab è sorella di Al Qaida, ed è il braccio armato delle corti islamiche che dal 2004 contendono la Somalia al fragile governo democratico riconosciuto internazionalmente.



Non si hanno notizie precise dell’accaduto, e se qualcosa trapela è destinato facilmente ad essere smentito o aggiustato secondo convenienze che appartengono alla ragion di Stato in considerazione della sicurezza nazionale, e per non mettere a rischio interlocutori e agenti sul campo.

Di certo il successo di quest’azione mostra una riacquisita padronanza o per lo meno capacità di presenza efficace ed autorevole in territori sensibili dei nostri servizi di intelligence che, dopo lo sbandamento seguito all’intervento delegittimante delle Procure contro gli uomini del Sismi di Nicolò Pollari (tutti assolti per il sequestro Abu Omar), si stanno, con i nuovi vertici, riorganizzando efficacemente.



Secondo fonti prossime agli apparati, decisivo è stato il lavoro intrapreso da Luigi Di Maio, capo della Farnesina, che ha assistito con costanza ad ogni fase di ricerca di Silvia e ha sempre informato e confortato i familiari, sconfessando – senza mai violare segreti ad uso di propaganda – le voci che la volevano morta, o definitivamente perduta.

Com’è ovvio, e persino giusto, il governo Conte si fa forza di questo successo. Giustamente il premier indica l’intelligence (Aise, cioè ex Sismi, e Dis) come protagonisti di questo eccellente risultato, settori di cui è diretto responsabile. Questa operazione, al di là del fatto umano che unisce tutti, deve essere salutata senza remore con entusiasmo anche dall’opposizione. Essa infatti di certo giova al prestigio nazionale in una fase geopolitica dove non solo l’Italia ma la stessa Europa hanno documentato la loro inconsistenza. Non siamo una gabbia di cicale allegre e pigre. L’Italia sa difendere i suoi figli e i propri interessi in un teatro impervio. La Somalia oggi è il crocevia degli interessi contrastanti e senza pace di varie potenze. L’ex-colonia italiana è oggi spartita tra i terroristi jihadisti e un governo che si appoggia molto alla Turchia. Proprio un commando di Ankara sarebbe stato decisivo per la liberazione, collaborando con donne e uomini dei nostri apparati e dei servizi somali.

Dunque la Turchia: con questo Paese siamo stati alleati nel difendere Al Serraj contro Haftar. E chissà che queste scelte non siano venute buone. Di certo il paese del Sultano Erdogan è il fattore nuovo in questa zona del mondo. La Turchia ha deciso di spostare il proprio baricentro d’attenzione non più – e si sa da anni – verso Nord, ma neppure esclusivamente ad Est. Oggi guarda come sfera d’influenza sua propria all’Africa musulmana. Sia mediterranea che sub-sahariana. Per questa penetrazione fa valere buoni rapporti con la Cina – presente massicciamente in Sudan, Mozambico e nel Corno d’Africa – oltre che con la Russia.

In questa fase di crisi da Covid-19, il morale è importante e qui possiamo attingerne in abbondanza, purché non ci si laceri nel distribuire meriti e demeriti.

Silvia, coraggiosa ragazza milanese, 25 anni, era stata sequestrata mentre era al lavoro come volontaria in Kenia, il 20 novembre del 2018. A suo tempo era stata data per convertita all’islam e sposata. Le sarebbe toccata cioè la stessa sorte delle giovani yazide in Iraq e Siria, rapite e schiavizzate dall’Isis, con l’obbligo per non morire di sottomettersi al Corano; o delle collegiali cristiane sequestrate da Boko Haram in Nigeria. Racconterà lei, se vorrà, i suoi mesi di cattività. Intanto ha fatto sapere: “Sto bene, sono stata forte”.