Spero che non sentiremo più parlare di Silvia Romano. Spero che possa essere sostenuta e abbracciata dalla sua famiglia, da chi le vuol bene, consolata e aiutata da medici e psicologi, che recuperino la sua umanità violata. Sì, violata. Perché la sua forza – subita o esaltata – non può ingannare, e ben l’ha notato chi ha vissuto esperienze come la sua: quel sorriso non nasconde tutto il dolore, la paura, lo smarrimento, lo scombussolamento della mente e del cuore. Ci vuole il tempo, che è un balsamo per sanare tutte le ferite, se sarà possibile, o perché le loro cicatrici la rendano davvero, una donna più forte. Silenzio sul barracano verde, sul riscatto, che si doveva pagare, senza grancassa e fanfare.
E’ vero che si è sempre fatto così, si sfrutta ogni occasione per bearsi davanti ai fotografi, ma è meschino. Lei non è colpevole del suo rapimento, non è colpevole dell’abito che porta, non è colpevole dei suoi cedimenti. E’ proprio necessario trovare un colpevole? No. Perché sappiamo dove vederlo, è così palese. Solo la cattiveria degli uomini, istigata dal fanatismo religioso a coprire il crimine. Questo è il male, qui la colpa, il peccato. Poi, dato che abbiamo la ragione e non si tace il suo lavorìo, ci sono alcune responsabilità, che è giusto, doveroso far emergere.
Non si manda una ragazza allo sbaraglio, senza assistenza sanitaria, solo fidandosi del Masai amico del compagno etiope della signora che ha fondata la presunta ong sognando l’Africa. Perché una ong segue certe regole, è in rapporto con le istituzioni, conosce bene i rischi e li fa presente, chiedendo protezione. I giovani volontari aderiscono con slancio, come si conviene alla loro generosa età, ed è becero bollarli come incoscienti. Grazie all’incoscienza dei giovani si scuote un po’ il mondo, ma gli adulti devono avere comportamenti non approssimativi, superficiali, buonisti.
Gi uomini non sono tutti buoni, neanche i poveri, neanche in Africa. Basterebbe leggere, studiare, ascoltare i testimoni. Bisogna impedire che simili facilonerie mettano a rischio altre vite. Poi si può ragionare sulle trattative: che sono sporche e poco lineari, come sa bene chi lavora nell’ombra dei servizi, benedetti in questo caso. Ma evitare di diffondere urbi et orbi che a liberare Silvia ci han messo mano i servizi di un paese che incarcera i giovani dissidenti, e usa migranti siriani come arma di ricatto per arraffare soldi da una pavida o opportunistica Europa, si può dire eccome. Si può dire che i riscatti si pagano se non v’è altra scelta, ma senza offrire platee agli assassini, che possano bearsi con la propaganda della convertita. Si può dire che quella palandrana verde che indossa Silvia coprirà malamente il male subito, non che si tratta di un segno distintivo di libertà. Quell’abito copre le donne schiave delle organizzazioni più crudeli e blasfeme del nome di Dio, anche per gli islamici.
Non si parli di conversione. Per quello, vedremo tra qualche anno. Se gli imbecilli non favoriranno la sua reale radicalizzazione continuando con gli insulti e le ignobili strumentalizzazioni di una vicenda che con la fede centra ben poco, come con la politica. Lasciatela in pace, come chiede, come implora la sua famiglia, l’unica ad aver mantenuto parole e comportamenti dignitosi e civili. Ci sarà tempo, per capire, per liberarsi davvero. Se non la si riduce a simbolo, del bene o del male. E’ solo una ragazza. Una persona, vale per sé, non per l’etichetta che le appiccichiamo addosso.