A prendere posizione sul caso Silvia Romano è Mario Raffaelli, presidente di Amref Italia e tra il 2003 e il 2008 inviato speciale del governo italiano per il Corno d’Africa. Intervistato da “La Repubblica”, ha sentenziato: “Il polverone sollevato dopo il rientro di Silvia Romano non ci sarebbe stato se la sua liberazione fosse stata meno spettacolarizzata”. Raffaelli ha spiegato come il dibattito pubblico sul riscatto non aiuti il lavoro dei servizi e la sicurezza degli italiani all’estero: “Il clamore intorno alla liberazione, e i velati ma continui riferimenti al riscatto, creano un pericoloso precedente. Nel 2008 furono liberati due cooperanti, un uomo e una donna, rapiti da Al Shabaab. Tornarono in Italia nella più totale discrezione. Bisognava fare così. (…) La linea ufficiale degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite è: ‘non paghiamo’. Ma spesso lo fanno e nessuno lo sa. Quando la priorità è una vita umana, il pagamento di un riscatto è inevitabile. Ma, ripeto, senza spettacolarizzazioni”.



SILVIA ROMANO, PRESIDENTE AMREF: “TROPPA SPETTACOLARIZZAZIONE”

Nel mirino, dunque, la decisione del governo di accogliere Silvia Romano a Ciampino. L’ex inviato italiano nel Corno d’Africa spiega perché a suo giudizio la condotta dell’esecutivo è stata sbagliata: “La presenza del presidente del Consiglio, del ministro degli Esteri e di tutte le televisioni ha amplificato un evento che meritava privacy. Se ne poteva fare a meno. Questa ragazza riabbracciava la famiglia dopo 18 mesi. Doveva rimanere un incontro intimo e non pubblicizzato”. Interpellato infine sulla conversione all’Islam di Silvia Romano, Raffaelli ha detto la sua: “Di fronte a 18 mesi di detenzione, bisogna avere solo rispetto. Per Silvia e la sua privacy. Le sue scelte non ci riguardano. Un anno e mezzo è un tempo molto lungo. Non possiamo sapere che cosa accade nella vita di una persona in una situazione così estrema”

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