Paolo Bonolis e il rapporto con i genitori

Silvio e Luciana sono i genitori di Paolo Bonolis. Il celebre conduttore è stato figlio unico: il padre Silvio lavorava come autotrasportatore di burro e prodotti caseari ai mercati generali di Pero, mentre la mamma Luciana lavorava come segretaria in un’impresa di costruzioni. Da bambino ha sofferto di balbuzie, ma parlando proprio dei genitori ha raccontato: “mi trattavano con il sorriso sulle labbra. Non mi facevano sentire un menomato, non mi hanno fatto diventare un complessato. Papà usava sempre una cinica ironia, una specie di amore distaccato: “che ‘te devo fa’, se caschi ti rialzi”, ripeteva quando mi vedeva in difficoltà. Così ho imparato ad arrangiarmi e a non scoraggiarmi”.



Per diversi anni il conduttore ha sofferto di balbuzie: “ne ho sofferto per anni. E balbettavo parecchio. A scuola, nelle interrogazioni ci mettevo secoli a finire una frase. Dopo un po’ l’insegnante, estenuato, mi chiedeva di rispondergli per iscritto”. A scuola però era trattato con benevolenza come ha raccontato dalle pagine di balbuzie.it: “frequentavo l’istituto dei Frères a Villa Flaminia, gestito da sacerdoti votati all’insegnamento, dove ho fatto anche le medie e le superiori. Ognuno di noi ha qualcosa che ci differenzia dagli altri, dicevano. Ci sono bambini che corrono veloci e altri che sono più lenti. Ho imparato a guardare ai miei impacci con serenità”.



Paolo Bonolis e le balbuzie: “a dodici anni è avvenuto il miracolo”

Paolo Bonolis ha sofferto per diversi anni di balbuzie. A scuola si è sentito protetto, anche se non nasconde: “si sa, sono i bambini a essere più cattivi sui difetti degli altri perché li usano per affermare le loro qualità. Ma non mi prendevano in giro perché balbettavo. Mi chiamavano “Pinocchietto” per via del mio naso”.

All’età di 12 anni però è avvenuto il miracolo come ha raccontato: “casualmente. Avevo dodici anni quando decisi di far parte del gruppo teatrale della scuola. L’idea mi allettava: finalmente insieme alle ragazzine, perché in classe eravamo solo maschi. Recitando mi sono accorto che non balbettavo quando dicevo la mia battuta. Ne parlai con i due registi della compagnia, Renato d’Archino e Lello Magrello. Mi dissero che secondo loro si trattava di un pasticcio psicologico: era come se volessi far uscire tutti i pensieri in una volta. Si creava quindi un ingorgo che mi portava a balbettare. Pensai che era proprio così”.