Sono trascorsi 33 anni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni e il caso è ancora irrisolto. Nel giallo di quelle 29 feroci coltellate che insaguinarono l’estate di via Poma, a Roma, non mancano misteri collaterali come quello di alcune telefonate anonime ricevute dalla vittima prima del delitto: secondo quanto ricostruito dal settimanale Giallo, nei giorni precedenti alla sua morte Simonetta Cesaroni avrebbe risposto ad un misterioso interlocutore che l’avrebbe contattata più volte presso gli uffici in cui lavorava. L’anonimo le avrebbe rivolto delle avances che, non si esclude, potrebbero avere una connessione con la drammatica evoluzione degli eventi di quell’afoso 7 agosto 1990 che sigilla verità non ancora svelate.



Secondo quanto emerso recentemente, questa potrebbe essere una via utile per arrivare all’assassino di Simonetta Cesaroni così come un reperto, del materiale pilifero trattenuto in una mano della vittima e mai analizzato, evidenziato dopo decenni dai consulenti della Procura che lavorano alla individuazione di nuove tracce attraverso le moderne tecnologie investigative. A TgCom24, il criminologo Franco Posa, tra gli esperti che in questi mesi stanno rianalizzando i reperti del caso Simonetta Cesaroni, ha sottolineato quanto segue: “C’è stata una quantità di coltellate che va oltre a quelle necessarie per uccidere. C’è una situazione di overkilling. Stiamo mappando le ferite, la mappatura parla molto” a partire da “segni dei quali non si trova traccia nelle perizie fatte nel corso degli anni” scoperti in parti del corpo quali “collo e una mano, dove vi era peluria che non è stata studiata e valutata“.



Le misteriose telefonate anonime prima del delitto di via Poma: “Simonetta Cesaroni rispose…”

Nei giorni precedenti al delitto di via Poma, secondo quanto ricostruito dal giornalista Igor Patruno – tra i massimi esperti del caso di Simonetta Cesaroni – la vittima avrebbe ricevuto almeno tre telefonate anonime a sfondo sessuale che potrebbero essere “la chiave per arrivare alla verità“. Lo ha ribadito al settimanale Giallo dopo averne parlato nel libro dedicato al cold case, sostenendo che Simonetta Cesaroni avrebbe parlato con un misterioso interlocutore che si sarebbe rivolto a lei con espliciti apprezzamenti e con una frase ripetuta che lascerebbe spazio all’ipotesi di un pregresso contatto tra i due: “Ma non mi riconosci?“.



Dalla nostra indagine – ha spiegato Patruno sul lavoro svolto con Luca Dato e condensato nel libro dedicato al giallo – siamo riusciti a stabilire che la prima telefonata arrivò tra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 1990 e che le chiamate furono verosimilmente tre“. L’anonimo telefonista, all’epoca, sarebbe stato individuato in “un ragazzo affetto da un lieve ritardo mentale, soggetto ben noto alla Cesaroni poiché frequentava la profumeria dove lei prestava servizio prima dell’assunzione presso la Reli“. Una persona che Simonetta Cesaroni avrebbe senz’altro riconosciuto, hanno concluso gli autori. Nella nuova fase investigativa sul caso di via Poma, secondo quanto dichiarato dall’avvocato della famiglia, Federica Mondani, “si è ripartiti dall’inizio” e questo permetterà di vagliare vecchi e nuovi elementi. “Gli errori investigativi – ha sottolineato il legale – furono dovuti anche alla superficialità, incapacità e alla mancanza di regole di quel periodo. Stiamo parlando del 1990, all’epoca non esistevano i protocolli operativi e l’attenzione alla scena del crimine che abbiamo oggi. Poi, sicuramente, c’è una parte da attribuirsi non a errori, ma a operazioni di copertura. Qualcuno o più di qualcuno riteneva di dover coprire qualcosa o più di qualcosa“.