L’ultima pista seguita dagli investigatori nel giallo dell’omicidio di Simonetta Cesaroni portava al figlio di Pietro Vanacore. È quanto emerge da un’informativa dei carabinieri, che per la procura di Roma però non è sufficiente per portare avanti le indagini sul delitto di via Poma. Per i militari dell’Arma a uccidere nel 1990 con 29 coltellate la ragazza che lavorava come segretaria negli uffici degli Ostelli della gioventù sarebbe stato il figlio del portiere dello stabile nel quartiere Prati. Il padre, a sua volta già accusato e prosciolto per l’omicidio, in questa ricostruzione risulta aver coperto le responsabilità del figlio fino al giorno del suicidio nel 2010. Stando a questa ricostruzione, Mario Vanacore avrebbe sorpreso Simonetta Cesaroni da sola negli uffici nel pomeriggio in cui andò a trovare i genitori, entrambi fuori casa in quel momento. Il motivo del suo ingresso negli uffici è da ricondurre alla prassi, suggeritagli dal padre, di effettuare delle telefonate “a scrocco”, visto che, essendo portiere, aveva le chiavi dell’appartamento sede dell’associazione.
Lì però trovò a sorpresa Simonetta Cesaroni, che Mario Vanacore decise di aggredire sessualmente, secondo i carabinieri. «Verosimilmente sotto minaccia, la costringe ad andare nella stanza del direttore dell’ufficio e dopo aver chiuso la porta la obbliga a spogliarsi», scrivono i militari dell’Arma. Ne nacque una colluttazione con la vittima che, anche se parzialmente nuda, riuscì ad afferrare quella che sarebbe poi diventata l’arma del delitto e a ferire l’aggressore. Quel tentativo di salvarsi però non andò a buon fine perché, come ricostruito dai carabinieri, il figlio del portiere reagì. Infatti, scrivono che «le sferra un colpo al viso e poi, a cavalcioni su di lei supina, la colpisce per ventinove volte». Ciò sarebbe avvenuto tra le ore 17:50 e 18:15. Nella fuga Mario Vanacore avrebbe lasciato tracce di sangue sul telefono e su una maniglia, oltre a dimenticare la sua rubrica telefonica.
OMICIDIO SIMONETTA CESARONI, “IL DEPISTAGGIO DEI GENITORI DI MARIO VANACORE”
Nella seconda parte della ricostruzione, invece, i carabinieri chiamano in causa i genitori del presunto assassino, in particolare il portiere Pietro Vanacore. «Vengono asportati gli indumenti e gli oggetti della vittima che non saranno mai più ritrovati», invece il figlio «spontaneamente o su suggerimento del padre, si allontana dal condominio e si reca in farmacia». Un tentativo di cancellare le prove portato avanti secondo i carabinieri fino all’arrivo della sorella di Simonetta Cesaroni. La moglie del portiere, Giuseppa De Luca, l’ha trattenuta a lungo alla larga dalla sede degli Ostelli, dove il marito Pietro Vanacore era ancora impegnato. La stessa De Luca ha provato a non consegnare le chiavi alla polizia, tenendo per sé il mazzo in dotazione all’ufficio.
Quando il portiere venne arrestato, i coniugi mentirono su un uomo misterioso visto uscire dal palazzo. Questa ricostruzione, spiega il Corriere della Sera, è nata su impulso della denuncia dei familiari di Simonetta Cesaroni. Per il pm Gianfederica Dito è però «fondata su una serie di ipotesi e suggestioni, in assenza di elementi concreti di natura quantomeno indiziaria». Un’altra accusa senza prove, dopo quelle che negli anni hanno coinvolto, oltre al padre di Mario Vanacore, anche il datore di lavoro della vittima, Salvatore Volponi, il nipote di un condomino del palazzo, Federico Valle, e il fidanzato della ragazza, Raniero Busco.