Ex “Femen”, cade la condanna secondo la CEDU
La CEDU si è pronunciata a favore della ex “Femen” che ha simulato l’aborto di Cristo da parte della Vergine, sull’altare della chiesa della Madelaine a Parigi nel 2013. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, la manifestazione della donna è tutelata dalla libertà di espressione. La donna aveva messo in scena, davanti all’altare e al tabernacolo, l’aborto di Gesù. Presentatasi a seno nudo, tatuata, con le braccia incrociate e con indosso la corona di spine e il velo azzurro della Vergine, in mano aveva “due pezzi di fegato di bue, simbolo del bambino Gesù abortito“.
Sul petto della donna erano scritti gli slogan “Il Natale è cancellato” e “Bitch 344”, in riferimento al manifesto del 1971 delle 343 femministe pro-aborto. La rappresentazione sull’altare della chiesa della Madelaine a Parigi, dunque, aveva come scopo quello di manifestare a favore del diritto all’aborto ed era stata punita sia in primo grado che in appello con un mese di reclusione e la multa.
Aborto di Cristo, CEDU contro la Francia
La CEDU ha ribaltato la sentenza dei tribunali parigini, legittimando l’azione dell’attivista femminista ex “Femen”. L'”unico obiettivo”, secondo la CEDU, era quello di contribuire “al dibattito pubblico sui diritti delle donne, in particolare sulla diritto all’aborto“. La Corte ha stabilito che la tutela della “libertà di coscienza e di religione” non sarebbe stata garantita con la condanna e ha ulteriormente criticato i tribunali francesi per non aver “esaminato se l’azione fosse ‘gratuitamente offensiva’ per le credenze religiose, se fosse offensiva o se ha incitato alla mancanza di rispetto o all’odio verso la Chiesa cattolica”.
Così, oltre alla condanna alla Francia, la Commissione europea si è detta “sorpresa dalla gravità della sentenza”, che prevedeva un mese di reclusione con sospensione della pena e una multa di 2.000 euro. Secondo la CEDU è deplorevole che la sentenza sia stata iscritta nella fedina penale dell’attivista e che la pena sospesa potrebbe diventare una pena detentiva permanente se la donna fosse tornata ad esercitare la sua “libertà di espressione”. La Francia è condannata inoltre a pagare 9.800 euro alla donna, come spiega “Infocatolica”.