A volte il passato torna e non sempre sotto forma di farsa: senza essere maestra di vita la storia può infatti aiutare a riflettere, a paragonare, a capire l’oggi e pure il domani. Insomma, ricordare serve.

Il problema è che questa è un’epoca in cui l’evoluzione spinge la memoria umana verso il modello “pesce rosso” (tempo di reset dei ricordi: 2 secondi!). Occupati a polemizzare (ieri su Vespa, oggi su Rama, domani sui cisuomini, qualunque roba sia) il Grande Fratello ci offre tanti motivi per non pensare. E noi mica si può stare indietro, fare come se l’algoritmo non ci fosse. Macché: vuoi che non si dica la nostra ad altrettanti sconosciuti che ci dicono la loro? Vorrai mica terminare la giornata senza sapere cosa passa per la testa di Brocco76 a proposito del delirio cognitivo di Notteprofonda81? Anche perché domani te ne sarai già dimenticato, ma sarai bell’e pronto a polemizzare con Albachiara69 su quel che l’algoritmo ti offre!



Così capite perché a noi ci è scappata una lacrimuccia: t’avevamo lasciato che ti dibattevi in politica, cercavi di farsi spazio tra giganti come Andreotti e Cirino Pomicino, sgomitavi per una Democrazia Europea. Avevi visto lungo Sergio (D’Antoni: di te parliamo)! Ti avevamo accompagnato vent’anni fa mentre guardavi all’Europa e Bossi in canottiera faceva finta di essere un politico inneggiando al Vesuvio; la sinistra si preparava alla virata populista sbrodolando per la scala mobile e per qualunque forma di sovvenzione privata a carico della collettività (e poi in effetti avrebbero cercato l’accordo con quel divino distributore di soldi altrui che è Conte: si stracciarono le vesti per gli 80 euro di Renzi, ma forse perché erano troppo pochi!). A destra come sempre la nostalgia la faceva da padrona e infatti tra La Russa e Bocchino ha vinto il primo, collezionista di busti del Duce e resuscitato dai morti dalle giravolte silviesche.



Cheddirti Sergio? Che le tue parole, il tuo richiamo alla concertazione, il ricordo delle fatiche di quella stagione, in cui si vide la prima di tante successive rotture sindacali, ci suonano come un inno alla politica in un’epoca di influencer governative e oppositive?

Rievocare quella fase agli occhi di chi vive di TikTok (o altre diavolerie del genere) sembrerà parlare del paleolitico, ma noi (almeno noi che la nostalgia ci fa schifo), abbiamo capito: non hai voluto ricordare il passato, hai solo dato una lezione di politica base a chi non sa nemmeno cosa essa sia. Politica, hai detto, è fare scelte per guidare il popolo, populismo è fare scelte per ingraziarsi il popolo: il populismo, hai detto, è il Grande Fratello, quello che guida l’algoritmo dei discorsi dementi in cui dobbiamo quotidianamente annegare la nostra intelligenza.



La politica è il bene comune: tu l’hai chiamata concertazione, ma non è un problema nominale. Certo ci vuole coraggio (o lucida follia, quella che guida i veri politici) per chiedere concertazione in un’epoca in cui dominano gli individualismi più biechi e spinti, in cui i corpi intermedi sono relegati a men che comparse cinematografiche, in cui a chiunque capiti di diventare qualcosa gli scappa subito il tiramento di mettere il suo nome nel simbolo dell’associazione che presiede.

Eppure hai ragione: la concertazione è l’opposto degli 80 euri e che a distribuirli siano Renzi o Meloni poco importa perché sempre largizioni sono e non il frutto di lavoro comune per il bene di tutti, tant’è che non si vede gran diversità tra loro e il pensiero politico del mitico Lauro, quello del paio di scarpe nella Napoli postbellica. Il referendum sulla scala mobile, ad esempio, fu l’opposto delle moderne erogazioni a pioggia con scarico dei costi sullo Stato: allora si capì che il debito pubblico, di destra o di sinistra poco conta, non è un male per le banche e per i banchieri, ma per la le famiglie normali, quelle che vivono di due stipendi normali, che fanno figli, che non hanno rendite, che non si dicono imprenditori perché hanno una rivendita di sigarette all’angolo della strada!

La politica è coraggio, che sia politica nelle istituzioni o nei sindacati: invece oggi come allora la Cgil è incatenata. Solo che almeno all’epoca Cofferati ti fece la guerra per impedire l’unità delle tre sigle: sapeva che sarebbe stata la fine di una concezione sindacale vecchia, novecentesca e che si sarebbero spalancate le porte sul futuro, su nuove visioni. Oggi all’opposto Landini è lì, seduto in panchina pronto a subentrare appena Elly e il comitato studentesco che guida la sinistra avranno fatto il loro giro di giostra e i capataz di sempre riprenderanno a tessere trame da impenitenti tafazzisti.

Capiscici: ci fosse un’idea, un progetto, accetteremmo anche di attraversare il deserto politico in cui ci siamo ficcati da un ventennio (altro che antifascista: io dichiaro orgogliosamente di essere un italiano antipopulista). Non ti diciamo di tornare: sarebbe una farsa. Ma ti ringraziamo per averci ricordato che la concertazione non è una via vecchia o obsoleta. Semplicemente è la sola via che si oppone all’attuale dittatura del consenso immediato e personale. La concertazione rimette in gioco i corpi intermedi!, cioè la gente e il suo protagonismo: ma quella era la stagione del “più società meno Stato”. Chissà che fine ha fatto quell’ideale! Oddio: noi lo sappiamo. La sussidiarietà oggi fa parte, paradossalmente, delle politiche europee, ma dirlo a chi fa della difesa dei “diritti” dei bagnini a guadagnare speculando sulla roba di tutti, il motore della sua azione politica, più che inutile è infantile. Mica possono capire!

Eppure occorre sperare e agire di conseguenza: sia chiaro infatti che non speriamo contro ogni speranza, né contro ogni evidenza, perché la realtà, quella vera, è ancora composta da gente che non ha donato il cervello all’algoritmo.

Ecco, mi è venuta un’idea che metto a disposizione gratis di chiunque voglia: perché non ridare vita alla mitica Società degli Apoti, cioè di quelli cui non gliela dai a bere? In fondo sarebbe anche questo un bel modo di ridestare la concertazione!

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