Diciamocelo. Tutti noi avevamo paura che il Governo del nuovo, composto da movimenti (please non partiti, ma movimenti), che hanno nel loro DNA il superamento della mediazione e che parlano direttamente al popolo, anzi sono il popolo, si prendesse talmente sul serio da non voler nemmeno perdere un nanosecondo a incontrare sindacati e imprenditori. Roba vecchia, roba di quando l’Italia non cresceva e non funzionava. Di quando l’Italia cercava di entrare nell’area euro, mica come quella di oggi che corre, anzi sfreccia, che ha un Pil da paura, che detta legge nel mondo economico finanziario. E che quindi vuole uscire dall’euro. Ma erano le paure di gente vecchia, di arnesi del passato: di gente che, pensa te, magari non usa nemmeno Instagram e Twitter.
Sì, erano paure inutili: perché questo fantasmagorico Governo ci ha sorpreso e stupito. Non solo continua a convocare sindacati e imprenditori, ma per non sbagliarsi li convoca tre volte. Loro, i sindacati e gli imprenditori, son sempre gli stessi, ma ogni volta cambia il Presidente del Consiglio: una volta quello vero, una volta quello virtuale, un’altra quello in pectore. Così se Salvini (senza Savoini), il 15 luglio ha fatto sfilare la sua squadra davanti a Cgil, Cisl e Uil al Viminale, e se Giggino Di Maio, dopo aver detto ai sindacati che non dovevano presentarsi da Salvini, ha pensato bene di organizzare qualche incontro sui diversi dossier aperti da tempo immemore, ieri, cioè il 25 luglio, una data simbolica per gli italiani, è stato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte a convocare di nuovo i sindacati a palazzo Chigi. Oggetto della riunione, cui sono stati invitati Cgil, Cisl e Uil, la “riforma fiscale”.
Quali erano le attese dei sindacati lo ha espresso chiaramente il “cinguettio” su Twitter della segretaria nazionale della Cisl, Annamaria Furlan: “Ci attendiamo un vero confronto e non una consultazione sulla nostra piattaforma e sulle vere priorità del Paese: meno tasse per lavoratori e pensionati, lavoro per i giovani, infrastrutture ed investimenti in innovazione, ricerca e formazione”. Almeno una delle due parti è andata sapendo di cosa parlare, cosa dire e avendo una idea precisa!
La settimana scorsa, certo, la Lega aveva convocato sindacati e parti sociali per dire la sua su una serie di dossier, dalla flat tax, alle infrastrutture. Ma ieri Conte ha comunicato che il Governo non ha un piano preciso per la riforma fiscale, passaggio decisivo in vista di ogni altro intervento, dalla mitica flat tax (quel meccanismo per cui finalmente chi ha più soldi e chi ha evaso il fisco per anni ora potrà non pagare le tasse) ai vari redditi e a ogni distribuzione di denaro promessa negli ultimi quindici mesi da ognuno dei tre Primi Ministri di cui disponiamo. Perché magari i soldi difettano, ma nella più pura tradizione italica, siamo pieni di Generali e Comandanti e tutti decisi a divenire emuli di Masaniello, o del Gatto e la Volpe, e promettere tutto a tutti e subito.
Così al tavolo convocato da Conte se non altro i sindacati hanno potuto ribadire quel che alle persone normali sembra buon senso (e quindi nell’attuale italica temperie, appare come illusoria fantasia): se si devono tagliare le tasse si comincia da quell’85% che le suddette sa cosa sono perché le ha pagate. Anzi, per evitare che non le pagassero lo Stato si è sempre premurato di trattenere alla fonte.
Se rivedere la fiscalità significa invece regolarizzare la situazione di chi non ha mai contribuito alla vita del Paese, consentire ad evasori, elusoti e “furbetti della Ferrari” di continuare, ma alla luce del sole, a pagare poco pur guadagnando molto, allora forse ha davvero avuto ragione la segretaria della Cisl, Annamaria Furlan, a chiedere a Conte quale rapporto il Governo volesse avere con i sindacati. Insomma, Conte può scegliere se fare l’avvocato di pensionati e salariati rafforzando le detrazioni per le famiglie e per il lavoro dipendente, rivedendo le tasse sul salario di produttività, rivedendo le aliquote per pensionati e lavoratori dipendenti. Diminuire il cuneo fiscale, cioè intervenire sulle buste paghe di lavoratori e pensionati, è la via maestra: tasse uguali tra ricchi e poveri significa invece dividere gli italiani tra onesti e furbetti. E stare dalla parte di questi ultimi.