Forse molti non saranno d’accordo, forse abbiamo torto (e questo a ben vedere non sarebbe mica una notizia), forse siamo di parte (anzi, senza forse). Ma per noi la notizia più importante di questi giorni è il motu proprio di papa Francesco nel quale chiede alla Chiesa, cioè a lui per primo, una «coraggiosa rivoluzione culturale» capace di interpretare il Vangelo nel mondo di oggi.
Lo sappiamo, c’era da scegliere tra un sacco di altre informazioni: alcune drammatiche (Israele, Ucraina o l’italianissima Caivano dove comunque da anni un prete combatte contro un sistema), altre facete (il centesimo tentativo di riformare le istituzioni italiane), altre ancora desolanti (la nostra povera Premier che alle prese con i problemi internazionali e al telefono con sconosciuti si lascia andare a commenti in libertà, neanche fosse al telefono con il suo ex, al secolo “Bellicapelli Giambruno”). Ma per noi, ripetiamo, la vera notizia è quella che la Chiesa dall’alto dei suoi 2000 anni di storia non esita a lavorare per adeguarsi alla realtà.
Eh sì perché di fronte a un’istituzione che qualcuno si diverte a definire (e altri perfino ad auspicare) sempre uguale a sé, conservatrice, chiusa, sorda e incapace di guardare al futuro, ci sono un sacco di enti, società, gruppi, movimenti, associazioni, leghe, compagnie, consorzi e chi più ne ha più ne elenchi, che devono avere come modello di vita “Il giorno della marmotta”. Ogni mattina si svegliano con la radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale e la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente: sempre intenti a ripetere le stesse gesta, a dire le stesse cose, con lo stesso linguaggio, in una coazione a reiterare che dev’essere per loro una sorta di coperta di Linus (e se non sapete chi è costui, andate pure a Lucca Comics).
Prendete per esempio i sindacati: se escludiamo alcune uscite politiche del Landini ex metalmeccanico e oggi intento ad allenarsi alla scalata del Pd (Ely, Ely diceva Quello sulla croce, ma chissà perché nella bocca del reggianissimo padrone della Cgil queste parole più che drammatiche suonano come un discorso di Sir Biss nel Robin Hood disneyano) non è che le pagine dei giornali riservino loro spazi enormi. Colpa degli organi di informazione? Ovviamente sì: giornalisti cinici e bari, avrebbe mormorato il mitico Saragat. Colpa dei padroni del vapore che escludono i lavoratori dal dibattito pubblico? Altrettanto sì: infatti, i giornali vivono solo di sovvenzioni e mica di lettori e pubblicità e quindi che gli frega dei lettori? Colpa della peste bubbonica, delle cavallette, delle piaghe d’Egitto, delle piattole e dei piedi piatti (occhio: stiamo parlando della valgo-pronazione del calcagno e dell’appiattimento della volta plantare, mica della Celere), colpa di tutti e di tutto, ma alla fin fine resta un fatto: i sindacati stanno sullo sfondo.
Guardate Cgil e Uil: da un mese hanno proclamato lo sciopero generale (ingenuamente vi starete chiedendo: ma per che cosa? Risposta: va bene una qualunque delle “colpe” sopra elencate). Ma il dibattito sui social, sugli organi di informazione (escludendo la Rai che però non so mica se fa ancora parte del Quarto Potere o se ormai rientra nella categoria “Circhi e Commedie”), al bar e via via scendendo fino al pianerottolo di casa, ecco il dibattito nazionale non è che ruoti proprio intorno alle elucubrazioni sindacali per di più spesso esposte in stretto sindacalese. Sembra, anzi, che la speranza recondita di quelle due nobili confederazioni sia che la massaia prima di fare i conti di casa arrivi a chiedersi “Ma quelli lì perché scioperano?”.
Oh, intendiamoci: niente in contrario e nulla di male in ciò, ma a noi pare davvero pochino come obiettivo. In fondo però se a Leopardi bastò una siepe per incontrare l’infinito e goderne a Landini magari basta la borsa della spesa di un italiano qualunque. Fuor di metafora: c’è una Finanziaria i cui contenuti sembrano ignoti anche ai ministri, un documento di bilancio che cambia con la frequenza con cui ognuno di noi muta le mutande, e che dentro ha, non ha o forse ha anche altro. Chissà chi lo sa. E questi scioperano: contro che? Contro il cambiamento di idea, la metamorfosi dei commi e la trasformazione degli articoli? Ai supermercati l’ardua sentenza.
Poi sull’altro lato c’è quella Cisl-che-nel-cuor-mi-sta. Lei applica i tempi lunghi del riformismo: non serve la rivoluzione e se le spallate sono fallite sull’Isonzo, Cadorna ne sa qualcosa e le migliaia di morti anche, figurarsi se i labari nostrani retrocederanno. Anche se a dire il vero il nerbo dei labari meloniani a fatica si può confrontare con quello di chi sul Carso ci morì per davvero. Ma no, la Cisl non cede alla tentazione e al contrario di Oscar Wilde resiste imperterrita e non si piega alla voglia di portare a Roma un po’ di gente a sostegno delle opposizioni. Pardon, è stato un lapsus: Cgil e Uil sciopereranno per contestare la Finanziaria. E allora, invece della piazza ecco un bel documento cislino, lungo le sue quattro pagine, denso di richieste, puntualizzazioni, proposte, critiche ma in cui non mancano neppure i giudizi positivi su singole determinazioni. Insomma un documento, come si diceva una volta, articolato e propositivo. Giusto e bello, riformista e libero, autonomo e aperturista. Che si conclude però con un invito che sinceramente mica abbiamo capito: sarà perché siamo più tonti di tanti, o perché per noi il futuro del sindacato come soggetto politico è tutto tranne che certo, ma a che serve dare mandato alla Segreteria di verificare la disponibilità di Cgil e Uil “a sostenere questa strategia con una manifestazione nazionale unitaria, da programmare in una giornata di sabato, per indicare il cammino di un Progetto-Paese fondato sulla piena attivazione delle energie e delle responsabilità sociali”, qualunque cosa queste righe sintatticamente bislacche vogliano dire?
Proviamo a interpretare: si chiede a chi ha spostato la sua battaglia nel campo strettamente partitico di abbandonarla e di fare una bella manifestazione? I casi sono due: o si crede in quel che si scrive, e a me sembra quanto meno ingenuo, o si spera che chi riceve la proposta la dichiari irricevibile. In questa eventualità siamo nel campo delle tattiche: nobilissima zona, specie in un’epoca come la nostra nella quale l’orizzonte (non quello della siepe leopardiana o della borsa della massaia) è più stretto e breve delle reminiscenze nei pesci rossi. Ma che è ben altro comunque dalla strategia, dalla scelta di un percorso che guardi lontano. Oltre la siepe di Recanati, verso l’infinito. Laddove ci sembrava di aver intuito che guardassero invece altre recenti (e per noi nobili) scelte cisline, come quella della raccolta di firme a sostegno della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, a supporto dei fondi pensionistici, per una contrattualizzazione sempre più spinta contro leggi sui salari minimi.
Intendiamoci: essere riusciti a inserire nella Finanziaria molte delle richieste è un punto di onore per la Cisl. Segno di un’autonomia vera dalla politica e di una capacità di interloquire con chiunque (tranne che con il Pd, a nostro avviso, e questo a noi non smette di sembrare ovvio e forse perfino necessario). Ma quell’ultimo invito…
Sinceramente a che serve invitare chi ha già detto che a casa tua non ci viene? A meno che: ecco, forse ho capito tutto. Eh sì quello cislino è stato un colpo di genio, una mutazione culturale: se nella parabola evangelica gli invitati che non si presenteranno alle nozze del re saranno gettati nella Geena e al banchetto nuziale saranno invece invitati gli ultimi, coloro che stanno ai crocicchi delle strade, i poveri, gli esclusi, i diversamente abili, così rientreranno dalla finestra quanti la Finanziaria aveva escluso.
Ha ragione Francesco: serve proprio una coraggiosa rivoluzione culturale. Ma a me.
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