La votazione che ha riportato Mattarella a presidente della Repubblica ha prodotto un moto di ripresa dell’iniziativa parlamentare che potrebbe diventare una nuova spinta politica. Per dare una definizione sintetica si può dire che la spinta al fare indotta dal Governo Draghi ha favorito il Presidente uscente per poter poi riprendere con nuova sensibilità gli impegni del Pnrr.
Una visione unitaria appare indispensabile per poter portare avanti gli impegni di riforma e gli investimenti che sono alla base del forte finanziamento che l’Europa ha concesso al nostro Paese. Da più parti si è invocato lo spirito del periodo post-bellico per sostenere che anche ora stiamo uscendo da un periodo in cui abbiamo subito perdite umane e costi sociali paragonabili a un evento bellico. Dopo il secondo conflitto mondiale, nonostante le forti contrapposizioni ideologiche, ci fu un moto di popolo che portò a un impegno collettivo per la ricostruzione del Paese. I finanziamenti del Piano Marshall permisero sia la ricostruzione delle infrastrutture, sia l’avvio di quella modernizzazione industriale che portò un Paese, fino ad allora realtà ancora prevalentemente agricola, a conquistarsi un ruolo mondiale nella produzione di beni di largo consumo.
Ci furono divisioni, si ruppe l’unità dei partiti della resistenza, ci furono conflitti nei luoghi di lavoro e si divisero anche le forze sindacali. Nonostante questo clima prevalse in tutti la capacità di vedere la necessità di contribuire in via prioritaria al bene comune della ricostruzione accantonando le divisioni. Le stesse forti posizioni ideologiche contribuirono a creare forti corpi intermedi nella società, facilitando così una partecipazione attiva di tutti gli strati sociali.
La situazione attuale appare diversa. La fatica che si nota nel “dire noi”, cioè nel fare prevalere gli interessi collettivi sugli egoismi corporativi e di parte, rischia di creare fratture che dalla politica si irradiano in corpi sociali, indeboliti e spesso senza un’idea del bene comune.
La crisi che si deve superare ha peraltro peculiarità che richiedono una comunanza di giudizio e quindi una condivisione delle soluzioni che vanno costruite. Dalla crisi post-pandemia non si uscirà tornando alla situazione precedente. L’Italia ha ricevuto molte risorse europee non solo per recuperare alcuni ritardi economici accumulatisi dopo la crisi del 2008. Dobbiamo usare queste risorse per affrontare i cambiamenti indotti dalla sfida della sostenibilità e dagli impatti della digitalizzazione. Gli effetti riguardano modelli sociali, beni di consumo e tecnologie produttive. L’impatto sarà su tutti i settori produttivi e comporterà ristrutturazioni profonde. Cambierà il modo di produrre, ma alcuni beni scompariranno e ne arriveranno di nuovi. Anche per i lavori succederanno fenomeni analoghi. Alcune professioni sopravviveranno ma richiederanno competenze diverse e altre scompariranno. Nasceranno nuove richieste di professionalità come già indicato da molti formatori che avevano previsto che i due terzi di chi oggi è in formazione farà un lavoro che oggi non esiste ancora. La pandemia ha accelerato questo processo che stava investendo il sistema produttivo a tutti i livelli.
Rispetto alla linearità della ricostruzione post-bellica abbiamo quindi davanti a noi un processo di ripresa e ricostruzione caratterizzato da forti discontinuità fra i diversi settori economici.
È per questo che, giustamente, il Pnrr prevede forti investimenti per la formazione a sostegno delle transizioni che coinvolgeranno molti settori produttivi e moltissimi lavoratori. Oltre a questo servirebbe più impegno nella realizzazione del sistema di servizi per le politiche attive verso tutti i lavoratori coinvolti in processi di cambiamento.
Molti dei cambiamenti più profondi sono indotti anche da scelte politiche. Quello più evidente riguarda il settore dell’automotive. La scelta europea di passare all’elettricità nel corso dei prossimi 13 anni sconvolgerà completamente il settore. La valutazione per il nostro Paese è che si perderanno oltre 65 mila posti di lavoro. Le auto elettriche hanno meno componenti e comporteranno la chiusura di intere filiere di produttori di parti oggi indispensabili.
A questo esempio più evidente si aggiungeranno altri settori industriali dove, già oggi lo si può rilevare, l’uso di nuovi materiali e lo sviluppo di stampanti 3D hanno messo fuori mercato macchinari che avevano caratterizzato l’industria meccanica di questi decenni.
È in questo quadro che va visto come un cambio di passo culturale e politico il documento comune presentato al Governo dai sindacati dei lavoratori metalmeccanici assieme alla rappresentanza delle imprese di settore. In questo documento si indicano i pericoli della nuova fase, ma soprattutto ci si impegna per affrontare assieme la sfida della trasformazione produttiva.
Solo pochissimo tempo fa una parte dei sindacati aveva indetto uno sciopero generale contro le scelte economiche del Governo. In questi stessi giorni parti dei sindacati pongono la questione di rivedere gli accordi su salari, inflazione e produttività come se fosse possibile tornare alla conflittualità degli anni Settanta.
Il segnale dato dai metalmeccanici, anche se abbastanza debole nei contenuti specifici, è però un importante indizio di inversione di tendenza. Già in altre fasi storiche furono i meccanici a indicare la necessità di un cambio di passo. Da questa crisi si esce meglio e più velocemente se si collabora tutti ad affrontare le sfide economiche e organizzative che stanno davanti noi. Non significa certo mettere da parte la contrattazione e la necessità di affrontare la questione salariale. Ma per affrontare la “nuova ricostruzione” serve un patto per lo sviluppo che coinvolga tutte le forze sociali a una fase di collaborazione tesa al bene comune.
Quello dei lavoratori e degli imprenditori metalmeccanici è un importante primo esempio di un cambio di passo che può investire tutte le forze sociali. Anche la politica può trarre da qui qualche spunto per prevedere un’evoluzione del sistema politico e istituzionale che favorisca il superamento del periodo della contrapposizione aprioristica e del populismo sovranista e becero di quest’ultima legislatura.
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