Doveva essere marzo, prima all’inizio poi alla fine. 

Nei giorni scorsi con una nota congiunta le tre confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil avevano chiesto un incontro al Governo per discutere anche dei temi previdenziali, e ciò testualmente “dopo gli utili confronti avvenuti sui tavoli tecnici”.



Ora, anzi tra poche ore, Draghi finalmente incontrerà i Segretari generali delle associazioni dei lavoratori per un confronto sul prossimo Def: in discussione temi quali “l’adeguatezza delle future pensioni dei giovani”, “la valorizzazione della maternità e del lavoro di cura e delle donne ai fini previdenziali”, la “necessaria flessibilità di accesso alla pensione che riallinei l’Italia alla media dei Paesi europei” e infine, il rilancio della previdenza complementare. La nota però si conclude con un’interessante postilla: “Consapevoli della grave crisi internazionale è però necessario che il Governo trovi il tempo per dare una risposta a milioni di lavoratrici e lavoratori”.



Perché interessante? Perché, a nostro giudizio, essa riassume tutto il dilemma politico, nel bene e nel male, davanti al quale si trovano oggi le centrali sindacali.

Cosa fare sul tema pensioni? Ma più in generale quale atteggiamento tenere oggi? Dal rispetto economico e sociale il populismo insito in certe posizioni estreme, o almeno apparentemente estreme, assunte anche in passato da alcuni tra i sindacati confederali, sussurriamo Cgil ma dovremmo anche aggiungere qualche invettiva uillina, è stato assorbito direttamente dalla politica.

I Governi Conte, da questo punto di vista, si sono dimostrati ampiamente meno responsabili di quei sindacati che pur chiedevano, tra le righe per carità, proprio quelle cose che il duo Conte-Salvini garantì a una fetta di italiani in cambio di un loro sostegno alle politiche. Come reagire davanti a questo scavallamento a sinistra (o a destra: poco importa la direzione, sta di fatto che la lotta alla riforma pensionistica montiana fu condotta dalle truppe salvinian-contian-grilliane contro il sindacato e contro i lavoratori)?



Oggi poi, rispetto ad allora, c’è anche la variabile Ucraina di cui tener conto: una guerra tanto lontana da sembrare, anzi da essere vicina, ma, guarda un po’, condotta dagli amici, anzi dai soci occulti, degli allora Governi giallo-verdi. Una variabile che avrà un impatto economico ancora difficile da definire nei suoi aspetti ultimi, ma che evidentemente già impegna le risorse governative in interventi che vorrebbero calmierare i costi energetici. Ecco quindi il busillis: facciamo il sindacato responsabile o il sindacato d’assalto (passateci la metafora bellica, ma se è vero che non c’è nessuno più aggressivo di colui che implora la pace dello schiavo…)? 

Sembra che la linea scelta sia la prima: anche perché i temi sul tappeto, diciamocelo apertis verbis, sono importanti, fondamentali, decisivi, ma non esattamente quelli destinati a trovare una conclusione entro poche settimane. I danni fatti alle pensioni dei giovani dalle urla (e dalle norme) scomposte del populismo d’accatto nostrano, non si saneranno in pochi giorni, né in pochi mesi. 

La valorizzazione della maternità, del lavoro di cura, delle donne ci sembrano argomenti, lo confessiamo, un po’ leggerini soprattutto quando sul piatto della bilancia ci sono i massacri perpetrati dagli amici dei populisti italici. Li ricordate i pacifisti ligurissimi organizzatori dei vaffa-day di qualche anno fa (memento, memento…) o i lombardissimi frate-mitra in servizio (non militare) permanente, quelli che se uno straniero vuol rubare a casa tua puoi, anzi devi, abbatterlo, ma se un mio amico russo entra non invitato per esercitarsi in stupri e massacri in Ucraina beh, discutiamone, siamo per la pace, il rosario, la preghiera e perfino papa Francesco diventa “il mio Papa” (fine cit.)!

La scelta di Cgil, Cisl e Uil, insomma, sembra essere quella di non alzare i toni, anzi! D’altronde, avete notato quanto si sia anche rarefatta nei diversi talk-show nostrani la presenza di chi rappresenta qualche milione di italiani in favore di personaggi dalla dubbia, e di norma alterna, capacità di rappresentare sé stessi? Ai nostri occhi però è un valore aggiunto quello di non trascorrere le serate su La7 a sparare, pardon, sputare, sentenze bislacche e a far passare per sillogismi inattaccabili affermazioni al più accoglibili dai frequentatori dei peggiori bar appena prima che spunti il sole: un sindacato responsabile, attento, non populista né retoricheggiante, è un sindacato che si prepara a stare sui problemi, a discutere del merito, a non chiedere in una volta sola la testa della gallina, la coscia e le piume del volatile medesimo, ma che poi vuole anche godere delle sue uova e dei suoi i pulcini. Un sindacato che preserva le imprese perché servono ai lavoratori (e non perché gli imprenditori siano sempre e a prescindere dotati di sommo giudizio e grandi capacità), ma che sa guardare avanti, in un orizzonte che non è quello del cortile di casa e verso un tempo che non è la sera di oggi. 

Lo diciamo senza aver accesso a sondaggi più o meno truccati: a nostro avviso certi opinionisti a breve avranno finito di mungere l’allegra mucca dei dibattiti televisivi tra esperti e tuttologi che di norma risultano ipodotati di buon senso e di sano realismo, ma al Governo di domani servirà ancora un sindacato che sui luoghi di lavoro torni a imporre il tema delle pensioni complementari, dei fondi d’accumulo co-gestiti, della governance condivisa di aziende pubbliche e grandi aziende private. 

Ma per fare questo, e qui la chiudiamo, non basterà il buon senso dimostrato in questi frangenti: occorrerà darsi anche un nuovo impulso in termini culturali e di contenuti.

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