Ieri due notizie hanno colpito il sottoscritto. La prima l’incontro che certo si faticherà a definire storico tra il Premier Draghi e i sindacati confederali; la seconda il fatto che nonostante il Pil, nonostante la ripresa, nonostante gli incentivi, oltre un terzo del 3,3 milioni di contratti avviati nei primi sei mesi dell’anno sono stati dei part-time e, soprattutto, che la gran parte non sono part-time volontari, bensì part-time offerti dalle aziende.
Sarebbe facile, oltremodo facile diremmo, collegarle, chiedersi, con un po’ di quel populismo di risulta che ormai abita anche in Cgil, Cisl e Uil, perché mai si sia pensato vantaggioso mettere sul tavolo richieste vecchie e dal vago sapore salviniano (il ritorno camuffato delle pensioni ai 60 anni, cioè a un’epoca pre-Forneriana), un generico “ascoltateci please” sulla ripartizione degli 8 miliardi previsti per interventi su fisco e salari e una fuori tempo offerta di contribuzione agli interventi previsti nel Pnrr. Ovvero: sarà tattica o strategia? Lo avranno fatto apposta sperando di uscire dal cono d’ombra in cui le organizzazioni dei lavoratori sono finite in epoca draghiana oppure è stata una sorta di coazione a ripetere ciò che per decenni, in un altro mondo e in un’altra epoca, ha funzionato?
Non lo sappiamo. Sospettiamo però che non si sia trattato di nulla di tutto ciò e che semplicemente anche le più importanti organizzazioni sociali italiane si siano accroccate alla roccia del (politicamente) noto sperando che l’onda del futuro non sia troppo violenta e la sua azione troppo invasiva.
Non erano però solo questi i pensieri che ci hanno attraversato. Piuttosto ci è parso di leggere nella ritualità della processione pure una sorta di implorazione, un tentativo di entrare a far parte di un percorso dal quale finora i tre sindacati sono stati esclusi.
Intendiamoci: hanno ragione da vendere. Il mondo sindacale è realmente rappresentativo dei 10 (molto “circa”) milioni di iscritti. Ma il punto è che gli iscritti si dividono quasi equamente tra chi fu nel lavoro e chi oggi il lavoro ce l’ha, al netto delle difficoltà di ognuno a far quadrare i conti. Molto meno lo siamo (ebbene sì, confesso di essere anch’io un iscritto e, data l’età, pure pre-istorico) di quel milione di cui sopra.
Il problema è che a palazzo Chigi si sono recate le associazioni dei pensionati e dei garantiti (in misura maggiore o minore ma pur sempre garantiti: in stragrande maggioranza dai contratti nazionali, dalle norme generali e da accordi aziendali o territoriali). E davvero ci avrebbe sorpreso venire a sapere che Draghi avrebbe accettato di modificare una Legge di bilancio già fatta, decisioni già assunte, intese e accordi sottoscritti solo per concedere ai sindacati l’onore delle armi. Forse, dico forse, se ci si fosse presentati con un piano credibile in materia di gestione del mercato del lavoro, di orientamento, di formazione continua, se si fosse stati in grado di stringere un patto con Confindustria di reciproco interesse, forse anche Draghi, che salviniano non è ma certo non è catalogabile tra i fans dell’iperpopulismo inconcludente di Conte e ultimamente sembra anche infastidito dal neo frontismo (popolare) di Enrico Letta, ripetiamo, forse, avrebbe acconsentito a lasciare aperto uno spiraglio invece di rinviare a future discussioni.
Forse si dovrebbe ripensare a quanto sostenuto nella proposta piddina, sorprendentemente non contrastata fino in fondo neppure dalla Cisl che pure su questo tema è sempre stata attenta a non farsi trascinare nel gorgo massimalista, di intervenire in materia di delocalizzazioni colpendo le aziende. Forse si dovrebbe trovare un punto di intesa interno sulla questione della Formazione Scuola-Lavoro, cioè su un tema ancora piuttosto divisivo. Forse, invece di chiedere uscite preventive dal lavoro, col sospetto che a questa richiesta non sia estranea una certa urgenza di rimpinguare i tesseramenti dei sindacati pensionati falcidiati dal combinato disposto del tempo, del Covid e del rallentamento dei collocamenti a riposo, sarebbe parso meno bizzarro chiedere di ragionare di pensioni integrative e di percorsi pensionistici.
I sindacati, come i partiti, non sono solo utili: sono indispensabili! Senza di loro la società sarebbe monca, le famiglie, gli uomini e le donne sarebbero soli davanti al potere e ai suoi tentacoli (qualunque cosa sia il potere e in qualunque modo esso si presenti). Ma, proprio come i partiti, essi si perdono se diventano settari, se si rinchiudono nella loro autosufficienza, se la risposta alla sfida del domani è quella del riccio che attraversando la strada per non essere investito da un camion istintivamente si chiude a palla senza sospettare che la sua difesa è debole e inutile e che finirà comunque schiacciato dalle ruote dell’automezzo. Gli iscritti chiedono ai sindacati di rappresentarne gli interessi che non sono solo quelli economici o normativi (pure quelli, ovviamente, ma non solo quelli), ma che sono anche di relazione, di capacità di inventare (etimologicamente: dal latino “invenire” cioè trovare) risposte inedite e coraggiose adatte a tempi nuovi.
Il mare che si apre davanti ai cittadini europei “già mai non si corse” per dirla col Dante del Paradiso: lo si può percorrere con la piccioletta barca di Ulisse e si farà la stessa drammatica fine. Oppure ci si (af)fiderà a chi sa guardare lontano, attraverso percorsi non lineari magari ma formativi e che condurranno in porto.
Il bordeggiare non solo non permette di evitare le tempeste e gli scogli, ma alla fine toglie ogni ragion d’essere. Se la vita, anche delle associazioni, non è coraggiosa e non è tesa all’infinito, rischia di divenire meschina e piatta. Cioè inutile.
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