Due giorni di approfondimento per leggere la realtà anche con le lenti di chi non fa sindacato. Un laboratorio per mettersi in discussione e aprire un dibattito franco dal basso e dai territori. Questo volevamo realizzare, con il nostro evento “Rigenerazione”, e questo abbiamo fatto. Sono state due giornate intense, belle e stimolanti, ci siamo confrontati con sociologi, economisti, manager, colleghi che rappresentano le lavoratrici e i lavoratori dell’agroalimentare e dell’ambiente in tutti i livelli: nazionale, regionale, territoriale, nelle imprese alimentari, nei cantieri forestali, nelle realtà del settore ittico o nelle imprese agricole, nei consorzi di bonifica o tra gli allevatori. Abbiamo voluto realizzare questo appuntamento, in vista della prossima fase congressuale, nella consapevolezza che nessuna ripartenza sia possibile senza una vera e propria rigenerazione: vanno rigenerati i corpi intermedi, va rigenerato il desiderio collettivo di ripartire, e soprattutto bisogna rigenerare il lavoro: creando nuove opportunità, specialmente per giovani e donne, e tamponando una crisi senza precedenti con una visione di lungo periodo, che restituisca speranza e concrete possibilità di riscatto.
In tanti, nei propri interventi, hanno riconosciuto che nella prima fase dell’emergenza sanitaria il sindacato e le parti sociali in generale hanno svolto un ruolo centrale. Senza il nostro impegno sarebbe scoppiata un’inquietudine incontenibile. Così come senza le lavoratrici e i lavoratori dell’agroalimentare, che non si sono mai fermati, affrontando stress, sacrifici, rischi, sarebbe venuto meno persino il cibo sulle nostre tavole. Con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. Ad oggi invece il confronto con il Governo procede a stenti, a velocità variabile. Tanto ascolto, ma poi poche decisioni concertate. È anche per questo che ieri abbiamo manifestato assieme a Cgil, Cisl e Uil nelle piazze di tutte le regioni: per chiedere che le ingenti risorse provenienti dall’Europa vengano utilizzate davvero per ripartire dal lavoro, superando la logica delle mancette e dell’assistenzialismo. Perché è di questo che ha bisogno il Paese. Al Governo chiediamo un confronto concreto sulle infrastrutture, l’innovazione, la ricerca, la qualità del lavoro, il mondo della formazione e della scuola.
Poi c’è un’opera quotidiana del sindacato molto meno visibile delle manifestazioni eppure assai importante, anzi per noi costitutiva: quella della contrattazione, per formulare vie nuove con le quali governare i cambiamenti sociali e tecnologici e rispondere ai nuovi bisogni dei lavoratori, delle famiglie, delle imprese. Guardiamo allo stato di agitazione in corso in questi giorni per rinnovare il contratto dell’industria alimentare in tutto il settore. È uno scandalo che alcune associazioni di imprese non abbiano ancora capito l’importanza di questo rinnovo, con un contratto innovativo che spinge sulla formazione, lo smart working, la riclassificazione dei lavoratori, nuove forme di welfare e di conciliazione tra vita e lavoro. Un contratto che restituisce dignità alle lavoratrici e ai lavoratori, ma che è indispensabile anche per rilanciare la produttività e la competitività delle nostre imprese. Per questo dal 9 ottobre sono previste anche 4 ore di sciopero nel comparto: non è un braccio di ferro, è un richiamo alla responsabilità da parte di tutti.
Il consenso generale verso i sindacati ha avuto fortune alterne, lo sappiamo. Abbiamo avuto governi con atteggiamenti dichiaratamente antisindacali, abbiamo visto l’ascesa – e purtroppo anche tante conseguenze – del mito della disintermediazione. Senza contare il fatto di aver dovuto affrontare al fianco dei lavoratori alcuni eventi di portata epocale come l’11 settembre 2001, la crisi economica del 2008 e ora la pandemia. Eppure il sindacato c’è, ha dimostrato di non tirarsi mai indietro.
Come federazione agroalimentare e ambientale in questi ultimi anni abbiamo avanzato un progetto nuovo, per ottenere un’organizzazione moderna, strutturata, fortemente sensibile al rapporto con i territori e con le periferie. Per stare davvero tra i lavoratori e tra gli ultimi, tra coloro che spesso un lavoro lo cercano ma non lo trovano, oppure lo trovano solo in nero. Per fare da collante sociale, mettere in connessione le diverse generazioni, le economie depresse con quelle più virtuose, il mondo del lavoro con quello dell’associazionismo.
E sempre in un’ottica di proposta politica e impegno sociale abbiamo avviato le nostre campagne. “Fai Bella l’Italia”, “Porto Sicuro”, “Sos Caporalato”, “Fai di più”, “Non c’è cibo senza terra”, la “Giornata per la Cura dell’Ambiente”, non sono spot, ma progetti di attivismo sindacale, di vicinanza alle lavoratrici e ai lavoratori, di sostegno alle grandi sfide contro lo sfruttamento, l’illegalità, il consumo di suolo, i rischi su salute e sicurezza che corrono ogni giorno i nostri lavoratori, lo spopolamento delle aree interne. Tutte iniziative di sensibilizzazione con le quali vogliamo esprimere una progettualità, una visione di lungo periodo, di cui si sente un gran bisogno di questi tempi.
Il nostro impegno è stato rivolto a stimolare la partecipazione attiva e consolidare i processi democratici, i diritti, le tutele per la persona. Perché è questo il solco in cui vogliamo muoverci. “Fate come gli alberi: cambiate le foglie, ma conservate le radici”, scrisse Victor Hugo. Mai aforisma fu più calzante per descrivere anche la nostra idea di sindacato e di rappresentanza. Un’idea da rafforzare tanto più quest’anno, con la ricorrenza dei 70 anni dalla nascita della Cisl. In quella fondazione, infatti, saldate nell’universo del sindacato libero e autonomo edificato da Giulio Pastore nel 1950, sono ben presenti anche le radici della nostra federazione agroalimentare e ambientale, da mettere al confronto oggi con il presente e con il mondo che verrà.