Investimenti, lavoro e occupazione sono parole che risuonano nelle dichiarazioni di gran parte del mondo politico. Poi quando si deve parlare con i lavoratori per comprendere la realtà concreta del mondo del lavoro, i suoi problemi, le sue necessità, scatta un senso di autosufficienza, di autoreferenzialità del mondo politico. Il Governo e tutto il mondo politico serra le file, avoca a sé non solo ogni decisione, ma sembra ritenere inutile il confronto con il mondo del lavoro.
Il risultato finora è stato molto scarso. Il Piano Colao, è finito come è finito, gli Stati generali sono stati una passerella, sul Recovery fund i ministri hanno fatto la classica lista della spesa arrivando a chiedere oltre tre volte l’importo senza alcuna priorità. A questo punto il sindacato ha il dovere morale e sociale di esprimere tutte le sue preoccupazioni e le manifestazioni di oggi 18 settembre in molte piazze italiane sono lì a dichiararle.
A luglio Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto ufficialmente un incontro che finora non è stato concesso. Se per una parte del Governo il non dialogo è un elemento genetico, mascherato dalla finzione della Piattaforma Rousseau, per l’altra parte è la dimostrazione del degrado della propria cultura politica. Il sindacato ha definito diverse proposte e priorità per il Paese: dal rinnovo dei contratti alla risoluzione delle troppe vertenze ancora aperte; dall’istruzione; dalla riforma fiscale alla lotta all’evasione; dagli investimenti alle politiche industriali; dall’innovazione tecnologica al Sud; dalla sanità alla legge per la non autosufficienza.
Questi sono i temi alla base della mobilitazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil “Ripartire dal Lavoro”. Oggi sarà dunque una giornata con iniziative nelle piazze di ogni regione d’Italia.
La Cisl rinnova l’appello all’Esecutivo per l’apertura di un tavolo sull’utilizzo delle risorse previste dall’Unione europea con il piano Recovery fund. Come ha ribadito la Segretaria generale Annamaria Furlan, “siamo pronti al confronto per definire come cambiare in meglio questo Paese guardando al futuro”, aggiungendo che “non si deve sprecare nemmeno un euro: tutti i 209 miliardi devono esser ben spesi perché il Paese torni a crescere e con esso il lavoro. Quei miliardi non devono diventare debito aggiuntivo fine a se stesso, perché non dobbiamo lasciare in eredità ai nostri giovani solo il debito pubblico, ma un Paese produttivo”.
Queste in sintesi le ragioni del nostro scendere in molte piazze italiane. Solo il buon lavoro e la centralità dei lavoratori salveranno l’Italia.